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Come si spiega che una scena con una figura centrale che afferra due quadrupedi a Parma possa rappresentare Daniele nella fossa dei leoni, a Moissac la Lussuria, ad Aghtamar l'eroe sumero Gilgame re di Uruk e a Ras amra la grande dea con gli stambecchi? Che nesso esiste tra soggetti così diversi come la sirena a due code, la barca di Labartu, il Buon Pastore e l'ascensione di Alessandro? La spiegazione sarebbe in quella "caotica ricchezza" delle raffigurazioni romaniche in apparente contraddizione con la "stabilità delle forme in cui questa prende corpo" che l'autore annuncia in apertura. Tramite questi motivi cerniera, esemplari della misura dei contatti tra le culture occidentale e orientale, Baltruaitis dimostra come alle somiglianze esteriori tra due repertori iconografici corrispondano analogie nei procedimenti che li hanno generati, riconoscendo un moto impresso alle forme da un impulso originale e che le forme conservano all'interno di un'orbita più o meno ampia di significati.
Il testo, comparso nel 1934 e finora mai proposto in traduzione italiana, costituisce uno dei primi lavori dello studioso lituano ma parigino di adozione, del quale Adelphi ha pubblicato l'edizione italiana di altri volumi.
Nel 1938, in L'arte dell'Occidente, Henry Focillon citava il saggio sulla stilistica ornamentale del 1931 dell'allievo Baltruaitis riconoscendo a quello studio, e implicitamente a quelli che ne seguirono la scia, di aver messo in luce il "prodigioso sostrato ornamentale" della produzione scultorea romanica e di aver individuato nell'ornato non un "inerte repertorio di formule", ma una gamma di figure create da un movimento che a partire da tre motivi generatori primari il tralcio, la sua duplicazione nella figura dell'asso di picche e il suo ribaltamento simmetrico sull'asse centrale crea numerose variazioni su cui di volta in volta si adattano miti, racconti, archetipi. Si presenta quindi una "variazione dei significati sulla stessa forma" in cui le figure, cadenzate dal tema ornamentale di cui conservano l'impronta, si moltiplicano attingendo ai repertori di tessuti copti e sasanidi, avori arabi e bizantini e rilievi architettonici caucasici dell'Armenia, della Georgia, del Daghestan.
Ciò che in questa sede si può cogliere è un primo momento di verifica di un metodo, paragonabile a quello archeologico, di indagine dei rapporti stratigrafici delle immagini, espresso con dimostrazioni rapide e una scrittura efficace, piana, mai involuta. Quello stesso metodo fu ancora applicato negli studi di più ampio respiro dati alle stampe solo nei decenni successivi, in cui Baltruaitis approfondì l'esplorazione degli esotismi con l'indagine sui "risvegli" e le sopravvivenze di modelli nelle espressioni del gotico e dei periodi seguenti. Baltruaitis individuò un sistema di affluenti che sfociano nell'arte romanica, e su questo, più che su altre tesi ormai largamente dibattute e risolte, è ancora importante tornare a distanza di tempo.
Contrappunto vivace del saggio sono i disegni al tratto, trascrizione grafica della lettura proposta, presentati senza la segnalazione del soggetto, ma con la sola indicazione dell'edificio o dell'oggetto da cui il particolare figurativo o ornamentale è tratto, in modo da lasciare aperta l'interpretazione, rimarcare il predominio della forma rispetto al tema, esaltare il dato geografico.
Il breve testo è seguito da Ritratto di Jurgis Baltruaitis di Jean-François Chevrier, un'attenta biografia, e da alcune tavole con appunti preparati in vista di un volume dedicato all'architettura fisiognomica o animale, purtroppo mai portato a termine.
Paola Elena Boccalatte
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