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Patrick Manoukian, autore e viaggiatore ma anche giornalista, francese di origine armena, con questo breve ed accattivante saggio ci introduce alla sottile arte del “perder tempo”. Fin da giovane è stato un viaggiatore errante e a soli 18 anni ha percorso 40000 km in autostop visitando diverse terre lontane. Tutte queste avventure sono divenute ispirazione per la stesura dei suoi romanzi e riflessione per i suggerimenti che troviamo in quest’opera, L’arte di perdere tempo edita da Ediciclo.
I consigli dell’autore hanno l’intento di farci riacquistare il nostro tempo, una buona pratica che ogni viaggiatore deve conoscere per non essere solo turista o visitatore di un luogo. Manoukian sprona il lettore ad accettare con interesse eventuali deviazioni e disavventure che un viaggio ha sempre in serbo in modo da trasformarlo in un’esperienza unica e rivoluzionaria. E’ l’arte di godersi il mondo, la sottile arte della “nonchalance”. Quando si viaggia non bisogna domandarsi quanto tempo resta per compiere l’itinerario, ci si deve fermare e assaporare tutto ciò che si presenta davanti agli occhi, perché ogni cosa vissuta rientra nel grande racconto del viaggio che si sta andando a fare.
Il primo e avventuroso viaggio di Manoukian risale alla fine degli anni Sessanta, quando giovanissimo riuscì a raggiungere New York dove rimase per un’estate lavorando in un ristorante. Due anni dopo tornò in America per realizzare un lunghissimo vagabondaggio in autostop “volevo festeggiare il mio ventunesimo compleanno a Woodstock”e di lì presero il via i suoi viaggi attraverso mezzo mondo. A proprie spese sperimentò che a volte una tappa vale più di uno spostamento e il tempo “perso” su un divano, una terrazza o per una deviazione segna il viaggio più del raggiungimento della meta. La tappa forzata diventa l’elogio della lentezza e ogni parentesi è preziosa per stabilire una relazione differente con il tempo.
Poichè il modo di viaggiare sta cambiando e sempre più spesso ci si muove per piccoli periodi, capita di non riuscire ad accettare nel modo giusto un fuori programma considerandolo una perdita di tempo e un ostacolo alla buona riuscita dell’itinerario stabilito. Quella di Manoukian è quindi una sfida proprio perché abbiamo a che fare con viaggi sempre più brevi e con avventure mordi e fuggi. Pensare che la filosofia dei tuareg ci dice “Nel primo viaggio si scopre. È nel secondo che ci si arricchisce”. Quindi dovrebbero essere i momenti di silenzio, le pause e gli incontri che non ti aspetti o gli imprevisti a rappresentare l’anima stessa, il cuore del viaggio.
Leggiamo questo saggio di “piccola filosofia di viaggio” – nome della collana che lo ospita – magari con nonchalancee lasciamoci guidare dall’indolenza di una lettura che può diventare un insegnamento di vita.
Recensione di Clara Domenino
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