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Negli stessi mesi in cui a Forlì si celebrava Canova, l'ideale classico tra scultura e pittura e a Faenza L'officina neoclassica, la Soprintendenza per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico per le province di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, con la cura di Roberto Balzani, proponeva a Cesena (Biblioteca Malatestiana, marzo-luglio 2009) un altro aspetto dell'attività di Canova e del dibattito culturale di quegli anni con una mostra molto interessante anche se più difficile, almeno in questi tempi di grandi eventi. L'oggetto infatti non era un artista né un movimento artistico, ma il dibattito nato in Europa sul finire del Settecento intorno alla nascita dei primi grandi musei pubblici e alla requisizione delle opere d'arte avviata dai francesi a seguito delle campagne napoleoniche e della soppressione degli ordini ecclesiastici. Mostra originale e interessante perché frutto di un imponente lavoro di ricerca e di un comitato scientifico di grande rilievo.
L'esposizione si articolava in sei sezioni non solo per ricomporre parte del patrimonio artistico scelto dai francesi nei territori pontifici, ma anche per ricostruire il mondo culturale dell'epoca. Sono così tornati nello stesso spazio alcuni quadri provenienti da Bologna e dalla Romagna oggi disseminati in diversi musei (per esempio il San Giovanni Battista che predica di Guericino e la sua cimasa con Cristo benedicente, uno alla Pinacoteca Comunale di Forlì, l'altro in quella di Brera a Milano). Allo stesso tempo la mostra ha riproposto il fervore del dibattito che animava il mondo intellettuale e artistico intorno alla nascita dei musei presentando lettere, libri, incisioni e la tela (conservata al Museo Civico di Bassano) che riproduce l'affresco di Mengs con l'Allegoria del Museo Clementino dipinto nella Sala dei Papiri dei Palazzi Vaticani, assegnata da Giuliana Ericani nella scheda del catalogo alla scuola del pittore.
Cornice della mostra due biblioteche cesenati, la Malatestiana e la Piana, frutto della raccolta privata del cesenate papa Pio VII a cui è dedicata una sezione monografica.
Dell'esposizione rimane memoria nel catalogo prezioso, che raccoglie le riflessioni di studiosi che da anni si misurano su questo tema aprendo nuove vie di ricerca. In particolare Andrea Emiliani, con la consueta chiarezza e raffinatezza, propone una lettura del rapporto fra territorio e opere d'arte nel XVIII secolo sottolineando il ruolo svolto dai pontefici in questo periodo. Roberto Balzani si sofferma sul cambiamento di statuto delle opere d'arte a seguito della creazione dei musei, mentre Valter Curzi confronta sapientemente i musei e l'attività di tutela a Roma negli anni di Pio VII e dell'occupazione francese. Sull'altro fronte, Antonino De Francesco chiarisce la politica dell'Armée d'Italie, mentre Dominique Poulot, guardando la questione dall'altro versante delle Alpi, sottolinea le contraddizioni del dibattito sull'utilità dei musei, ma anche il ruolo fondante di quelli francesi come modello europeo di lunga durata. Concludono il catalogo i saggi di Federica Rizzoli, con una cronologia delle requisizioni, e quelli di Mariano Mengozzi e Daniela Savoia sulla figura di papa Chiaramonti.
Una mostra da vedere dunque, ma anche da studiare ora che si è conclusa. Una mostra che non deve stupire se si pensa che è stata promossa da una soprintendenza che può vantare una grande tradizione, da Corrado Ricci ad Andrea Emiliani.
Chiara Piva
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