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Da un uomo dello spessore di Caillois ci si può (e ci si deve) aspettare di tutto. Il frammento più ovvio, più anonimo, nella sua opera, può declinare da solo una poetica intera. Che si tratti del ludico o delle pietre antiche, di rettili o minerali, di favola o di sacro, non c'è aspetto che nella sua scrittura non sia avvolto nella persuasione della prosa più alta. Tutto nel suo eclettismo è vera fascinazione, un generoso edificio nel quale dimora un destino volto unicamente alla scoperta, allo studio, al faticoso e felicissimo solco del capire. Cristallina mente, un uomo di versatile profondità, come pochissimi. Cosa succede in questo libriccino? Un'umiltà che quasi si scusa verso il lettore tentando di aprire un orizzonte poetico attraverso attente e rispettosissime negazioni. Negazioni del falso, dell'artificioso, del compiaciuto, del supponente. Paginette dove l'inizio è il "non", a scandire come un'assoluzione dal più complesso incontro tra l'uomo e la parola: la poesia. "Non mi sono affannato a dare prova d'essere poeta; ho studiato il mestiere con pazienza e modestia, astenendomi da prodezze e sotterfugi". Un togliere dunque, un lavoro senza forzature o insensati strali di imprudenza o vanità ostentata: "Non ho simulato l'entusiasmo; ho riconosciuto, senza amarezza, quando li provavo, che i miei impeti erano del tutto umani e che regole umane dovevano governarli". Preziosi ammonimenti quasi morali a decifrare dentro se stesso tutta la partitura di un lavoro che, pur restando inconoscibile in molte sue partiture e angolazioni, conosce lo stesso alcuni termini fissi e deve ogni volta onorarli come un veterano rivive la propria innocenza, come il cesellatore più abile e tuttavia più onesto, davanti a questa musa sovrana, legge tocca nel giro dei righi il segno di una piccolezza che resta tale:"Ho solo comunicato coi versi ciò che non si lascia trasmettere con facilità in altri linguaggi. E spero di lasciare le parole più ricche di come le ho trovate". Poesia!
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