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Anno edizione: 2014
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L'ARMATA DEI FIUMI PERDUTI di C. SGORLON Per pochi mesi, dal '44 al' 45, un'armata di Cosacchi, con al seguito donne, bambini, carriaggi, cavalli, financo dromedari, occuparono la Carnia, zona montana del Friuli Venezia Giulia, illusi dai Tedeschi che avevano promesso loro una nuova patria in cambio di una loro funzione antipartigiana. Questo è lo sfondo storico del potente romanzo storico di C. SGORLON, L'ARMATA DEI FIUMI PERDUTI, premio Strega 1985, che guarda con occhio lucido e penoso alle tragedie di invasi e invasori, vittime entrambi. Si mescolano sapientemente i personaggi: i "falchi" e le "colombe" tra i Cosacchi, ebrei, zingari, partigiani e paesani, e, sopra tutti, Marta, libera e saggia, che tutti accoglie con uno slancio continuo e puro che la spinge verso gli altri perché, anche tra le contingenze sventurate della guerra, lei sente "l'armonia segreta del mondo" e la spande intorni a sé. E l'agognata e fittizia patria dei Cosacchi diventa nel romanzo di SGORLON metafora dell'uomo moderno, sorta di eterno nomade, profugo senzapatria perché senza certezze, senza mete certe, definitive, consolatorie... Sullo stesso argomento consiglio vivamente anche ILLAZIONI SU UNA SCIABOLA di C. MAGRIS.
Un libro sulla guerra ma soprattutto un libro poetico per come descrive il paesaggio in cui si svolgono gli avvenimenti e, particolarmente, i personaggi che animano il romanzo. Su tutti emerge la figura di Marta, che pur avendo condiviso il suo letto con quattro uomini, si impone per la sua assoluta purezza, in quanto possiede tutti i tratti di nobiltà: non conosce nemici, aiuta chiunque entra nella sua sfera di azione sia esso ricco o povero, di alto lignaggio o umile zingaro.Magnifica figura di donna che riesce a nobilitare anche tutti i personaggi sia maschili che femminili che ruotano attorno ad essa, riuscendo ad estrarre da ognuno di essi i migliori sentimenti, che albergano anche nell'animo di persone spregevoli e crudeli.
Un’anziana ebrea russa, Esther Heshel, fuggita dalla sua patria al tempo della rivoluzione bolscevica, se ne sta rintanata in una villa acquistata in un piccolo paese di montagna, nel Friuli, di cui significativamente non si conosce il nome, giacché quella villa e quel paese diventeranno un simbolo ed un approdo per tanti disperati. Marta, la domestica – siamo al tempo della Seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre 1943 – la rassicura che la guerra sta per finire, e quindi stanno per finire anche i pericoli per la sua razza, ma Esther ha “la sensazione continua di essere spiata, ricercata”. Non avrà tutti i torti, vedrete. I tedeschi di son fatti rabbiosi e violenti. I treni diretti in Germania sono pieni di zingari e di ebrei. Marta, restata a custodire la villa insieme con Anita, una giovane meridionale, il cui fratello Arturo, fidanzato di Marta, è stato inviato in Russia e lo si crede morto o disperso, dà rifugio ad Haha, un vecchio zingaro scampato ai rastrellamenti. Chi osserva i fatti ed agisce come dominante in questa storia, dunque, è una donna, a differenza di altri romanzi di questo autore che hanno come protagonista soprattutto uomini; allo stesso modo che, nella guerra partigiana che comincia ad intensificarsi, troviamo anche capi che sono donne, come Sonia, e pareva, come scrive Sgorlon, che “fossero uscite dalla consueta figura di madri e di mogli, tutte dedicate ai lavori casalinghi, per imbracciare le armi anche loro, e stare accanto agli uomini.” Marta sente “di appartenere a un modello di donna senza tempo, destinata in eterno a sanare come poteva le ferite della guerra.” E ancora: “Per lei, gli uomini che combattevano, vinti o vincitori, invasori o invasi, erano sempre degli sconfitti, perduti in illusioni strane e senza fondamento. Lei l’aveva capito da tempo, ma gli uomini no.” Succede che i tedeschi per snidare i partigiani fanno venire dalla Polonia, dai Balcani, ma anche dalla Siberia, i cosacchi, un popolo guerriero rimasto fedele allo zar e che vede nella rivoluzione bolscevica un
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