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Anno edizione: 2019
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“Archivio dei bambini perduti” è un romanzo bellissimo. Sono a pagina 91 e voglio un gran bene a Valeria Luiselli per la storia che mi sta dando di una donna che viaggia assieme all’uomo che è suo marito da quattro anni e ai due figli verso il sud degli Stati Uniti, avvicinandosi al punto in cui i bambini degli altri vengono fermati alla frontiera, espulsi, rimandati indietro, bambini anche loro come i suoi figli fatti di stupore e scoperta, novità e imprevedibilità, capriccio e impazienza, fiducia e paura; le voglio bene perché la racconta utilizzando la radio al mattino e gli scatoloni nel bagagliaio, gli Apache e la Sontag, le mappe stradali e le colpe del matrimonio, le difficoltà col lavoro, i conti con la vita adulta, senza mai cercare una frase bizzarra o brillante ma scrivendole tutte con cura, ricchezza, registrando la luce sulle cose, il suono prodotto dagli spostamenti, le emozioni stanate dai traslochi, attraverso le pagine mature di un diario mentale.
Una narrazione-mondo fuori dai generi, ne incroci tanti: mémoir, romanzo sociale, politico. Con un uso di fonti molteplici, fotografie, saggi, audiodocumentari, l'autrice indaga su piani paralleli cosa significhi essere bambini, cosa significhi preservare la propria memoria di fatti privati e personali della propria famiglia con quella degli eventi politici, che declinazione abbia la condizione di migrante (con riferimento specifico a quello dei bambini al confine Messico-Usa) quale sia la loro voce. Ci sono spesso cambiamenti di punto di vista nel romanzo e a metà del romanzo, l'autrice consegna a uno dei personaggi-bambino 8che non sempre convince per il linguaggio a tratti troppo raffinato, ma tant'è) e fa dipanare le riflessioni, le visioni. E' anche un romanzo on the road, si attraverso gli Stati Uniti e ci sono spesso digressioni sui paesaggi e le culture native. Consigliato!
Questo romanzo mi è piaciuto perché mi ha coinvolta in modo inaspettato. Non è un libro di viaggio, non è un racconto dal confine, è prima di tutto la storia di una donna: una donna che si è arresa alla fine di una relazione, e ora porta il peso di una separazione imminente; una madre che ha deciso di non rivolgersi ai suoi figli con vezzeggiativi o storielle inventate per proteggerli, ma di provare a rispondere in modo sincero a tutte le loro domande; ed una documentarista, che si occupa di suoni, e che ha scelto di dedicare il suo lavoro e le sue capacità allo studio della crisi migratoria dei minori. Durante questo viaggio però, si rende conto che quello che può fare come studiosa e come osservatrice ha effetti molto più lenti e meno determinanti. E questo la fa arrabbiare, la fa sentire frustrata, ed è esattamente il momento in cui il romanzo raggiunge, secondo me, il suo punto più alto: perché in quella rabbia io mi sento rappresentata, riesco a immedesimarmici, anzi, vorrei che tutti si immedesimassero nella frustrazione di chi assiste inerme ad un’ingiustizia. La seconda parte invece mi è sembrata meno coinvolgente, perché quando a raccontare è un bambino è più difficile comprenderne il punto di vista, l’immedesimazione è meno immediata. Questa scelta segna per me un punto di debolezza per il romanzo, perché ne cambia troppo le atmosfere, sembra quasi di aver cambiato libro, quindi per quanto possa aver apprezzato questa dimensione quasi onirica, fanciullesca, avrei preferito che la narrazione rimanesse quella principale. Allo stesso modo, il metaracconto delle “Elegie” è sicuramente un buon espediente narrativo per inserire un altro punto di vista, ma rischia, per lo stesso motivo, di penalizzare un romanzo che è già ricchissimo. È come se Valeria Luiselli avesse esagerato, avesse inserito in questo romanzo il materiale adatto a crearne tre. Questo libro mi ha trascinata in un viaggio di cui non sapevo di avere bisogno.
Recensioni
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