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Architettura e storia. Paradigmi della discontinuità - Carlo Olmo - copertina
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Architettura e storia. Paradigmi della discontinuità - Carlo Olmo - copertina

Descrizione


L'architettura rappresenta una delle più importanti testimonianze della presenza dell'uomo sulla terra. In questo senso non solo è legata alla storia: è essa stessa storia per eccellenza. Basterebbe ricordare il tormentone che ogni anno si scatena quando si tratta di individuare qualche architettura o qualche luogo da aggiungere al "patrimonio dell'umanità". Eppure la sua interpretazione viene spesso lasciata alle forme come alle ideologie che essa veicola. La stessa lingua con cui questa storia così fondamentale si racconta appare presa in prestito: dalla storia dell'arte come dalla sociologia, dal romanzo come dalla giurisprudenza. Quella che si dichiara essere la testimonianza per eccellenza non fa spesso i conti neanche con il significato della stessa parola "testimonianza". Questo libro cerca di restituire al rapporto tra architettura e storia la complessità che esso conserva, nonostante tutti i tentativi di incasellarlo in tipi o categorie formali e sociali. Lo fa indagando le relazioni che l'architettura costruisce e muta nel tempo con la religione, la tecnica, il diritto, la rappresentazione dell'autorità, i sentimenti quotidiani attraversati da mutamenti, a volte drammatici a volte celebrativi. Lo fa scegliendo, per ogni capitolo, una parola chiave o piuttosto un'architettura che aiutino a capire come quelle parole, di cui noi spesso abusiamo, costruiscano relazioni tutt'altro che rassicuranti tra le parole e le cose.
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Dettagli

2013
22 maggio 2013
VIII-180 p., ill. , Rilegato
9788860368782

Voce della critica

  Di solito il dialogo tra discipline avviene tra generazioni diverse. Poiché si parla con chi si riesce a individuare nel settore vicino, è quasi inevitabile che siano studiosi appartenenti a una generazione precedente e non alla propria. È perciò molto raro, e non casuale, riuscire a essere aggiornati e in sintonia con ciò di cui si sta discutendo in un momento dato nelle discipline vicine. Questo è il principale merito del libro di Carlo Olmo: per ricchezza e aggiornamento delle informazioni, si situa davvero a cavallo tra storia e architettura, come indica un titolo per una volta fedele. Ovviamente, c'è anche molta autolegittimazione nel discorso di Olmo: l'ultimo capitolo, in particolare, mostra e sostiene con grande chiarezza lo scontro di generazioni che ha caratterizzato la storia dell'architettura in Italia, e che potremmo emblematicamente riassumere nello scontro tra la storiografia naturalistica e genealogica della prima generazione postbellica e le passioni di quella successiva, che Olmo sembra identificare in un oggetto (la modernità e il suo studio) più che in un metodo. Quest'ultimo è piuttosto un bersaglio polemico: Olmo critica a lungo la "deriva testuale" della produzione storiografica, che ne giustifica le pretese di autonomia e impedisce di affrontare un "nodo fondamentale da ricontestualizzare ogni volta: la natura di documento dell'opera e l'ordinamento della produzione di fonti che le opere di architettura generano e da cui sono generate, produzioni che hanno spesso la loro chiave in un intreccio di diritti, norme e giurisdizioni". Questo nodo percorre effettivamente tutto quanto il libro, e riflette una serie di accese discussioni che hanno attraversato negli ultimi trent'anni il campo della storiografia (non architettonica). Esse hanno rappresentato una reazione a una storia sociale "selvaggia" e positivista che cercava informazioni soprattutto quantitative per organizzarle in schemi interpretativi dipendenti da concezioni evoluzionistiche del passaggio alla modernità. Come è noto, l'identificazione del testo come materiale linguistico e vero oggetto della ricerca storica ha creato una generazione di storici poco attenti al contesto di produzione dei testi e tendenzialmente autoreferenziali. La via d'uscita da questa impasse è stata duplice: da un lato una difesa della bontà di una storia sociale non evoluzionistica e più attenta alle fonti; dall'altro una storiografia delle pratiche, più o meno contestualizzate e localizzate. Mentre intorno alla prima opzione si è coagulata molta della microstoria italiana, la seconda ha un contorno meno identificabile. Essa si qualifica per una forte attenzione alla teoria dell'azione in polemica con la sociologia di Pierre Bourdieu, ma soprattutto si fonda su un approccio alle fonti attento alla genesi, soprattutto locale, della documentazione. Questa appare volta a definire azioni intenzionali connesse a istituzioni e a giurisdizioni, in un gioco tra attori che legittima e qualifica possessi, diritti, prerogative di persone ed enti. Una grande sensibilità storiografica ha permesso a Olmo di captare questo insieme tutt'altro che evidente di idee e di tradurlo in un programma di lavoro. Per questo egli afferma a più riprese che le opere di architettura non sono "testi" che è sufficiente leggere, ma sono punti intorno a cui si generano complessi di fonti che dialogano a proposito di diritti, norme e giurisdizioni incorporate in azioni. Dietro al libro sta dunque la volontà di "denaturalizzare" la storia dell'architettura. Ciò si traduce in un programma all'apparenza minimale: discutere ("rielaborare") il senso delle parole chiave in cui tale storia si articola per combattere la disinvoltura con cui i suoi praticanti le usano. Questo obiettivo, che è decostruzionista nel senso pieno e non gergale del termine, ed è allo stesso tempo antipositivista ma non antirealista, si articola in una serie di discussioni intorno a temi storiografici ampi che costituiscono l'indice del libro: la discontinuità, la ricostruzione, la testimonianza, la città e la democrazia. Intorno a questi temi Olmo presenta una serie di opzioni metodologiche che si sono sviluppate, o si possono sviluppare, intorno alle discussioni sollevate dallo studio di specifici oggetti di architettura: i passages parigini, la Mezquita di Cordova, le ricostruzioni di Lisbona e di Torino a metà Settecento, le architetture della memoria e della commemorazione, l'Enceinte des Fermiers Généraux di Parigi, il mitico piano di fondazione di Turi. In questi ragionamenti, Olmo sembra proporre implicitamente un metodo o almeno una procedura: parte da un testo (narrativo o architettonico), lo decostruisce attraverso la riflessione sulla storiografia che lo ha analizzato, individua le fonti giurisdizionali che esso ha prodotto, o da cui è stato prodotto, e scopre un processo di negoziazione sociale che l'oggetto incorpora e la cui ignoranza lascerebbe totalmente sfigurato. Delle quattro procedure, il libro sviluppa soprattutto la seconda, con una vastità e pertinenza di riferimenti che è frutto di una curiosità intellettuale davvero straordinaria e feconda.    

Angelo Torre

   

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Conosci l'autore

Carlo Olmo

Carlo Olmo è stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in numerose università straniere. È autore di numerosi libri di architettura. In particolare, ha iniziato a scrivere su Le Corbusier dal 1975 (con Roberto Gabetti, Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau», Einaudi) e vi è tornato, di recente, con Susanna Caccia nel volume La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro (Donzelli, 2016). 

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