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Questo disco e' una lampada di Aladino: l'apertura sorniona e disturbata di sax e voce tratteggia una intro, volutamente scelta in un inglese scimmiottato e indolente, che accompagna l'ascoltatore in un imbuto, sonoro e atmosferico. E’ un vortice conturbante e ipnotico, simile al turbine lento e caldo della schiuma di un cappuccino, increspata dal movimento indifferente di un cucchiaino. E giù il tango con screziature mitteleuropee di “Fuga all’inglese”, un po’ Tom Waits un po’ Tuxedomoon, la rumba elettrica di “Dancing”, tutta contrappunti di fiati e rantolii stiracchiati del nostro primo attore. Sì, perché la parola, ma soprattutto la voce, rimane sempre la vera protagonista, la prima donna dell’intero disco: un cantato annoiato e sempre sul punto di abbandonare ogni brano sul più bello, quasi questi fossero una vecchia p*****a da congedare, dormiente, su un letto ancora caldo. Nella canzoni a seguire, silenzi (in “Gioco d’azzardo”) e galoppate (“Diavolo Rosso”), fanno di questi “appunti di viaggio” un martello pneumatico a vapore (di nuovo “Dancing”), un caleidoscopio di swing (“lo Zio”), ballate sbiadite (“Hemingway”), canzoni abbreviate (“Nord”). Un disco indimenticabile e un po’ futurista, il fulgido esempio di come anche in Italia si possa produrre qualcosa di "a tutto tondo", senza necessariamente portare con se una tara geneticamente invalicabile: ovvero, l’impossibile superamento dei confini regional-nazionali, limiti, talvolta stilistici e contenutistici, per molta, se non per la maggior parte, della nostra musica nostrana. Consigliatissimo.
Recensioni
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