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La figura dell’apprendista stregone – l’incauto principiante di arti magiche che si illude, solo per aver orecchiato alcune parole del maestro, di poter dominare le occulte forze spirituali, e si avventura in un’evocazione dagli effetti disastrosi – è certo nota a tutti, grazie anche allo “scherzo” sinfonico musicato da Paul Dukas nel 1897 e, ancor più, al famoso episodio contenuto in Fantasia (1940). Fonte comune di queste “rivisitazioni” moderne è la ballata L’apprendista stregone composta da J.W. Goethe (1749-1843) nel 1797 e ispirata da un passo di Luciano. Questa, come altre ballate goethiane e non, venne recepita, ancora per tutto l’Ottocento, soprattutto nella sua componente sinistra, notturna, spettrale e comunque fantastica, mentre ben altra è la sua essenza: uno squisito divertissement letterario, dallo stile sorvegliatissimo e dalla raffinata elaborazione formale, creato con l’intento di dimostrare come fosse possibile conferire anche a un genere “minore” quale la ballata popolare piena dignità letteraria. Fanno da corona all’Apprendista stregone due altre ballate (tutte sono offerte con testo originale a fronte): lo Scavatore di tesori, dello stesso 1797, e la Danza macabra (1813), tarda e fredda ripresa di un tema ormai abusato. Arricchiscono il volume, oltre a un’ampia Introduzione storico-critica, due Appendici: la prima con tre “classiche” versioni dell’Apprendista stregone, rispettivamente di Benedetto Croce, Diego Valeri e Gilberto Forti; la seconda contenente il passo lucianeo, proposto anche nella traduzione di Luigi Settembrini, nonché in quella di C.M. Wieland, fonte diretta di Goethe, e alcuni brani di altre opere goethiane (anch’essi con originali a fronte) relativi alla stessa ballata.
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