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Questo libretto dovrebbe e vorrebbe essere un bigino compilativo ed esaustivo sull’argomento, invece risulta valido soprattutto nella sua parte più sperimentale. Un vero colabrodo a riguardo di troppi aspetti essenziali, tipo: il sorgere dell’apocalittica come alternativa al fallimento del profetismo dopo il mancato avvento messianico nonostante la ricostruzione del tempio ebraico fra il 520 e il 518; il genere apocalittico come teoria non tanto sulla fine della storia cosmica, quanto sul suo fine auspicabile; il rapporto di tale categoria biblica con le altre: Torah, Profeti, Sapienza e, per il cristianesimo, anche con i libri storici o cronachistici. Inoltre il paragrafo sul millenarismo (pp. 80-4) esigerebbe d’essere ampliato fino a diventare un testo a sé. Tuttavia l’analisi differenziale (pp. 71-4) tra le attese ebraiche presenti in Isaia, Ezechiele, Zaccaria e Daniele, e la loro sottile quanto decisiva trasformazione nel libro conclusivo del Nuovo Testamento, mostra e dimostra una modifica in atto nelle Sacre Scritture. Il passaggio determinante è da una (dis-)soluzione del male o negativo tramite un espediente solo gnoseologico a uno pure ontologico. Viene lasciata intravedere la chance d’un rimpiazzo o sostituzione storica e cosmica di ciò che si è dato fin qui, solo che nessuno ha idea di come estinguere, annientare, estirpare alla radice il male/negativo già effettivamente avvenuto e fattualmente verificatosi, né di quale sia il bene che dovrebbe essere salvato e salvabile. Però, almeno, intanto tali questioni cominciano a essere sollevate, mentre altrove esse diventano soltanto slogan per promuovere “l’industria culturale” (cf. l’Eco di “Apocalittici e integrati”) oppure vengono dimenticate per strada (cf. il Barrow di “Teorie del tutto”, nella cui modellistica alle pp. 60-9 scompaiono i casi forse più importanti, interessanti e promettenti, l’insieme intersezione e tangente).
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