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Anno edizione: 2020
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Poeta celebrato per la profondità concettuale e la densità lessicale dei versi, contestato per l’oscuro e respingente ermetismo stilistico, poco frequentato per l’ombrosità del carattere, Celan progettò in totale autonomia un’unica scelta antologica della sua produzione, ed è appunto la silloge da lui suggerita che oggi viene pubblicata nella traduzione di Borso. Nel volume edito da Nottetempo possiamo ritrovare i titoli più noti (Der Sand aus den Urnen, Corona, Todesfuge, Nachts, Psalm, Mandorla, Anabasis, In der Luft), tratti da quattro raccolte uscite tra il 1952 e il 1963 (Papavero e memoria, Di soglia in soglia, Grata di parole, La rosa di nessuno). Sono versi connotati da un’angosciosa visionarietà, espressa in ritmi franti e concitati, con tonalità cupe e risentite, rese più accese dalla memoria inorridita dello sterminio nazista: “Scavavano e scavavano, così trascorreva / il loro giorno, la loro notte. E non lodavano Dio / che, così udirono, voleva tutto ciò, / che, così udirono, sapeva tutto ciò”. Il presagio della morte aleggia in ogni poesia, e pervade qualsiasi aspetto dell’esistenza, scandita dall’implacabilità del tempo che passa: “È tempo che la pietra si decida a fiorire, / che all’inquietudine batta un cuore. / È tempo che sia tempo. // È tempo”. Nemmeno tra creature simili, sottoposte alla stessa violenza, si instaurano sentimenti di fiducia, solidarietà, amicizia: “Stanno divisi nel mondo, / ciascuno con la sua notte, / ciascuno con la sua morte, / scontrosi, a testa nuda, / brinati / di prossimità e distanza”. Poeta del grido strozzato, della mano che annaspa, della fuga nel buio, Paul Celan ha saputo esprimere lo smarrimento di chi pone testardamente la stessa domanda sul perché del male, pur sapendo di non poter ricevere risposta.
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