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Una ricostruzione alternativa ma non per questo meno credibile di una fase decisiva della storia moderna. Linguaggio e contenuti sono, a mio avviso, perfettamente coerenti con lo scopo primario di quest'opera, che è quello divulgativo. Poche pagine per consentire (anche ai profani) di intuire il significato della guerra fredda, rimandando gli storiografi ai numerosi saggi enciclopedici che affollano la materia.
Sicuramente un libro interessante e scorrevole che analizza, seppur in modo un pochino romanzato, la fine della guerra fredda. Consigliato a chi desidera avere un resoconto dei fatti che hanno segnato la fine del comunismo,non a coloro che cercano invece un approfondimento più politico delle dinamiche e delle conseguenze degli eventi.
Recensioni
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Tra reportage e diario di memorie, l'autore di questo volume, all'epoca inviato di "Newsweek", è riuscito a offrire una suggestiva panoramica, capace, da un lato, di tenere conto di gran parte degli eventi che si verificarono in Europa centro-orientale dal gennaio al dicembre del 1989 e, dall'altro, di suggerire prospettive originali, facendo ricorso ai colloqui avuti con i protagonisti di quegli anni. Ciò che distingue questo brillante volume dai numerosi altri dedicati allo stesso tema è che esso sia scritto a partire da un punto di vista tipicamente americano e che, al contempo, si proponga di superarlo, contestando uno a uno quei luoghi comuni che sono ormai entrati a far parte del canone celebrativo ufficiale. In particolare, criticando l'entusiasmo ingenuo con cui, negli Stati Uniti, la caduta del Muro di Berlino fu salutata nei termini di una vittoria americana, Meyer mette in dubbio tre convinzioni radicate: che il "popolo" sia stato il protagonista esclusivo di quegli eventi; che la storia dovesse inesorabilmente portare a quelle conclusioni e infine che le amministrazioni americane abbiano esercitato un ruolo decisivo. Ne risulta una ricostruzione che restituisce rilevanza a quel ristretto manipolo che, dall'interno del sistema, mise in moto l'intero processo (si pensi al caso ungherese), ai bizzarri incidenti che ne segnarono lo svolgimento (si pensi alla conferenza stampa in cui Guenter Schabowski pronunciò il fatidico ab sofort), alle resistenti cautele che segnarono la strategia americana. Sullo sfondo viene messo sotto accusa quel trionfalismo statunitense che, di lì a qualche anno, si sarebbe tradotto in fatale hýbris.
Federico Trocini
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