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Forse un gatto non si ritiene "gatto"; o, magari, vede i suoi servi i "padroni" come goffi grossi felini. Prima o poi, la "gattologia" scientifica si pronuncerà in merito. Nel frattempo, nutriamo la nostra curiosità con un'opera che non si rivolge a quattro gatti specialisti di zoonimia, né ad asini patentati, bensì a un lettore interessato a comprendere lo sguardo umano sulla natura. Nel libro, la ricchezza dei dati e l'esposizione rigorosa si uniscono a una trattazione appassionata e avvincente.
L'autrice, studiosa attenta alle vicende linguistiche e culturali del mondo germanico e, in particolare, di quello tedesco, intraprende un viaggio nella storia di nomi, forme idiomatiche, proverbi che riguardano gli animali più noti. Tenendo conto delle denominazioni più frequenti nei vocabolari, sono scelti circa quattrocento zoonimi dell'italiano, che vengono posti a confronto con gli omologhi di altre lingue, per lo più indeuropee: particolare attenzione è dedicata al francese e allo spagnolo, al tedesco e all'inglese, fino al russo (ricco di rapporti con i mondi baltico, uralico e altaico) e al neogreco, le cui forme moderne rivelano le matrici antiche di tanta civiltà lessicale europea.
A ogni nome corrisponde così una scheda, di varia ampiezza, a seconda dell'importanza dell'animale denotato: i capitoli più ricchi sono dedicati a bue, cane, cavallo, corvo, gallo (con gallina, pollo, pulcino), gatto, lupo, maiale/porco, serpente e topo; meno rappresentative risultano voci come beccofrusone, capinera, ghiottone (in inglese wolverine: è molto diffuso nel Michigan, che per questo è detto Wolverine State).
Ogni scheda è articolata in tre parti: la ricostruzione etimologica, le osservazioni culturali e un commento degli usi fraseologici attivi più frequenti. Le note di fraseologia sono utili per ricostruire l'interpretazione culturale di un animale. Non di rado, in culture linguistiche diverse, un nucleo semantico si esprime in modi di dire differenti. In italiano si è magri come un'acciuga; in tedesco, come un'aringa; in neogreco, come uno sgombro secco
La descrizione linguistica aiuta a comprendere come una cultura interpreti la natura. Così, lo scavo nel lessico mette in luce la storia degli atteggiamenti umani verso le bestie. Non di rado, la base del nome è onomatopeica e imita il verso dell'animale (come gru, che riprodurrebbe il grido dell'uccello, o foca, da una radice greca che vale "soffiare"). Più spesso, si denomina l'animale dicendone un tratto caratteristico: pettirosso deve il nome alla macchia rossiccia che la cultura linguistica italiana colloca sul petto; in tedesco però è chiamato Rotkehlchen perché la macchia è vista sulla gola (Kehlchen). All'odore rinvia la radice indeuropea contenuta in bisonte, in visone e nel tedesco Wiesel, equivalente dell'italiano donnola. La forma fisica è decisiva per la sogliola, il cui nome rinvia al diminutivo latino di solea, "suola", ma che in tedesco è "lingua di mare" (Seezunge). Invece, il tonno impressionò gli antichi per la velocità dei movimenti; ne derivò un nome, che si basava sulla radice del verbo greco thýnein, "schizzare via". E l'abitudine di scavar tane è alla base del nome latino cuniculum, continuato in italiano da coniglio. A volte, culture linguistiche diverse colgono in animali diversi un carattere simile: ne derivano nomi dal suono simile per animali differenti. Pertanto, il cervo è così chiamato per via delle corna: alla base vi è una radice *ker- sfruttata dal russo per dare il nome alla vacca (koróva).
La struttura di un nome è trasparente soprattutto nei composti di matrice classica, quali fenicottero (dal piumaggio "rosso scuro", in greco phoinikikós) e ippopotamo ("cavallo di mare"). Spesso la matrice è ripresa dalle lingue moderne per mezzo di un calco strutturale: è il caso di rinoceronte (l'animale "con un corno sul naso"), che in tedesco è reso fedelmente da Nashorn. Insieme al calco, una lingua riprende anche l'interpretazione culturale elaborata nella lingua donatrice. Avviene in tal modo che più lingue condividano una categorizzazione della realtà.
Là dove la motivazione non è evidente, la ricostruzione etimologica interviene riconducendo a trasparenza ciò che sembra opaco: gran parte del lessico esaminato nel volume non è caratterizzato da arbitrarietà. Questa osservazione sembra suggerire che nella lingua operino dinamiche culturali ricostruibili, anche solo in via di ipotesi, mediante un'analisi storico-etimologica ben documentata.
Giovanni Gobber
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