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A proposito di Partito democratico, lo si sente ripetere spesso, soprattutto dai suoi principali esponenti, anche da chi si è candidato a guidarlo: al Pd manca un'anima, una vocazione e un'impronta. Luigi Manconi lo aveva detto tra i primi, con il suo Un'anima per il Pd. La sinistra e le passioni tristi (pp. 152, 12, Nutrimenti, Roma 2009). Un libro che avrebbe dovuto maggiormente influenzare la campagna congressuale del Partito democratico, che proprio in questi giorni celebra il proprio congresso fondativo. Uno dei congressi più "lunghi" di tutti i tempi, dal momento che è stato aperto il 26 giugno e si conclude con le primarie del 25 ottobre e con la successiva convocazione dell'assemblea nazionale. Un dibattito che ha riguardato molto il posizionamento degli uni e degli altri: il "dimmi con chi vai e ti dirò che partito sei". All'interno si è dato spazio quasi solo al gioco delle mille correnti e all'esterno si è parlato quasi esclusivamente della famosa politica delle alleanze, che tanto appassiona. Il dibattito generale ha lasciato molto da parte le idee di fondo, proprio quelle che avrebbe dovuto costituire il patrimonio culturale e ideale di un partito nato con le primarie di due anni fa e che, dopo una fase iniziale di grande entusiasmo e crescita, conclusasi con la sconfitta elettorale dell'aprile del 2008, ha registrato una progressiva perdita di consenso e una tangibile difficoltà a mantenersi all'altezza delle stesse ambizioni che avevano portato alla sua costituzione. Il congresso purtroppo non ha fatto che confermare questa difficoltà e, nonostante i numerosi appelli alla concretezza e nello stesso tempo alla capacità di immaginare il futuro, pare l'ultima tappa di quella fase di incertezza piuttosto che la prima di una fase nuova.
Il libro di Manconi, pubblicato nella scorsa primavera, resta insomma valido e utilissimo al dibattito circa il ripensamento del Pd e della sinistra in generale. Perché si pone come problema non tanto quello dell'identità del Pd e della sua provenienza storica, ma quello di sapersi confrontare con le sfide dell'attualità, che potrebbero rilanciarne anche la cultura politica. Ciò riguarda la questione cattolica ancora aperta e sempre più drammatica in questo paese, anche alla luce di recenti vicende che hanno riguardato il mondo della stampa e la capacità del Pd di interpretare il paese a cui si è votato. È in gioco, insomma, il presente e, forse, ancora di più, il futuro di uno schieramento, ma soprattutto di un paese che non si sa più raccontare, né pensare per quello che accadrà, ma solo per ciò che è stato. Che è stato travolto dalla crisi senza nemmeno aver riflettuto a sufficienza sui motivi che l'hanno scatenata, che non ha chiaro il problema di una democrazia finalmente compiuta. Che sottovaluta i propri difetti e i propri pregi. Lì, per Manconi, la sinistra deve tornare a parlare, ritrovando le parole e un approccio insieme tradizionale e inedito, perché di questo si tratta soprattutto.
Cercando i temi "divisivi" rispetto alla destra, come li chiama Manconi, nella speranza che un approccio alternativo e insieme riformista possa tenere "tutti dentro il Pd", in un "partito famiglia-allargata" capace di includere e di estendere il consenso e di prendere le distanze dal minoritarismo tipico della sinistra italiana. Manconi si dedica alle "cose", alle occasioni che si possono recuperare, partendo proprio dalla sicurezza e dai temi cosiddetti eticamente sensibili (come se gli altri non lo fossero
), senza parlare mai, come scrive in premessa, di Veltroni e D'Alema, Marini e Rutelli (un tentativo pressoché eccezionale, il suo, che ci ricorda come il narcisismo dei leader sia stato un argomento totalizzante, in questi anni). Si parla di identità, e forse di qualcosa di più: si parla di "anima", proprio perché "la grande occasione mancata" del Pd è stata determinata dall'incapacità "di assumere un ruolo di soggetto politico-morale, alternativo a quello della destra", all'insegna di una "debolezza di carattere" che ha deluso tantissimi, soprattutto coloro che si erano illusi e avevano creduto fideisticamente nell'affermazione di un soggetto politico nuovo.
E la novità si vede nella capacità di saperlo interpretare, questo "nuovo": e così, per l'osservatore e il lettore interessati al futuro, la parte che colpisce di più del testo di Manconi è l'appendice, che Manconi dedica alla società multiculturale, negata non solo dalle parole dell'attuale premier e di numerosi esponenti della compagine di governo, ma dalle loro politiche: dedicata proprio al "cattivismo al potere" e a quello che il centrosinistra (e il Pd soprattutto) potrebbero fare per l'integrazione (e non fanno o, se lo fanno, lo fanno pochino). Perché c'è tutto un mondo intorno al proprio ombelico: averlo dimenticato è stato il peccato capitale del Pd.
Giuseppe Civati
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