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È indubbiamente un Capolavoro. La questione di fondo posta dall'autore è se esista, e se possa esistere in assoluto, un dramma moderno. Attraverso una analisi estetica e storica-sociologica della letteratura, egli ha dimostrato che il dramma moderno, qualitativamente diverso dal dramma classico, è il dramma borghese: finora l'unico che non scaturisce da una coscienza mistico-religiosa, ma che si è avvicinato alla sfera religiosa solo nel suo successivo sviluppo. Egli ha fatto una disamina del processo di sviluppo del dramma borghese, dalle sue premesse storiche fino all''' epoca eroica'' che vede il tentativo di Hebbel e di Ibsen di creare una tragedia borghese. Partendo da una analisi specifica della Weltanschauung lessinghiana, il filosofo ungherese passa attentamente in rassegna le fasi più significative di ciò che egli considera l' effettiva genesi del dramma moderno : il concetto di destino di Schiller, la svolta di Immermann e Grillparzer, la chiarezza problematica goethiana, la possibilità drammatica della tragedia di classe di Hebbel, fino alla problematizzazione ibseniana dell' individuo stesso e del suo rapporto con la storia. Ecco l'anima e le forme che prendono corpo.
Senza un filo d'esitazione, ombre educate o inutili e leziosi giri di frase, questo libro è l'indiscusso capolavoro di Lukacs, l'opera nella quale la travolgente spinta verso un futuro marxismo sposato e rincorso non è ancora in embrione, e ogni velato richiamo ad esso resta come schiacciato dal piglio romantico e sovranamente letterario che l'autore sversa nelle pagine. Mi verrebbe da dire un Lukacs libero, aperto ai fuochi della grandezza letteraria, un Lukacs già completo e riuscito nella sua opera più giovane. I saggi su Kierkeegard e Regina Olsen, quello su Storm, tutti, respirano un'aura di magnificenza e di padronanza come pochissime altre volte la critica ha saputo elargire. Indispensabile.
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