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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2019
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Massimo Donà, professore di filosofia teoretica a Milano, dedica questo suo intenso e non facile saggio a Caravaggio, alla sua "ingovernabilità", al "fondo abissale, nero e indecifrabile" dei suoi dipinti, e al "furore essenzialmente musicale" che anima il suo atto pittorico. In realtà parla di molto altro, indaga in profondità il pensiero filosofico ed estetico che si è occupato dagli albori del rapporto intercorrente tra arte e natura, tempo e spazio, luce e oscurità, immaginazione e storia. Prendendo spunto da alcuni quadri caravaggeschi (non solo i due più esplicitamente dedicati alla musica, "Concerto di giovani" e "Suonatore di liuto"), Donà contesta l'idea di una presenza della spazialità nella pittura dell'artista lombardo, che ama scontornare i suoi modelli da ogni sfondo concreto, "preferendo farli emergere...da un confuso abisso, da un'oscura origine", salvaguardandone "l'originaria indeterminatezza" che "conduce all'essere il non-essere". Così facendo "il teatro pittorico caravaggesco sarebbe riuscito a restituire i personaggi di volta in volta rappresentati alla straordinaria potenza evocativa necessariamente caratterizzante qualsiasi brandello d'eternità". Una potenza evocativa che si esprime quindi non tanto nella descrizione realistica dell'ambientazione, ma nel suggerimento di un ritmo interno, assolutamente musicale, non legato a una significazione positiva: bensì allusivo a una possibilità "altra" dell'essere. E' inevitabile a questo punto per Donà appellarsi all'autorità di Hegel, al suo affermare "l'essere che, mentre è, non è, e mentre non è, è". Solo la musica, e l'arte pittorica che sa farsi musicale, è in grado di "liberare la cosa e la sua statica determinatezza", dispiegando la sua "fondante infondatezza" ed esprimendo "l'immediatezza del tempo". Se il significato rappresenta la permanenza, il rassicurante, ecco che l'arte di Caravaggio esprime la mancanza, il non essere più e il non essere ancora. L'immediatezza imprevedibile.
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