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Sin dal suo titolo e dall'esergo costituito dalle parole di Silvia Baraldini, il volume sul cinema di Andy Warhol scritto da Mirco Melanco pone l'accento sul contrasto tra la creatività vitale e frenetica del gruppo della Factory a partire dagli anni sessanta e l'ombra di morte che nel giro di un paio lustri si sarebbe portata via molti dei componenti di quella scena artistica. Da una parte, infatti, come scrive l'autore, c'è una serie numericamente impressionante di film il cui "tema fondamentale consiste nel dare significato alla volontà e al bisogno dell'uomo di apparire per esserci, di mostrare corpi umani come oggetti e oggetti come fossero dotati di un'anima e di un'intelligenza propria", dall'altra un repentino e inesorabile svanire, come nel tempo di una breve dissolvenza.
Se l'opera di Andrew Warhola, nato da un'umile famiglia di origine cecoslovacca emigrata negli States in cerca della semplice sopravvivenza, costituisce un momento fondamentale nella storia dell'arte contemporanea, altrettanto importanti sono i suoi film per l'evoluzione dell'espressione cinematografica, ma di gran lunga meno noti presso il grande pubblico di quanto non siano i lavori grafici e pittorici. È a questa produzione comprendente oltre cento film che è dedicato il volume di Melanco, che scrive tenendo conto del ruolo decisivo esercitato da Warhol nel cogliere e interpretare ciò che di radicalmente nuovo stava avvenendo nella New York degli anni sessanta, ma anche di un approccio alla rappresentazione artistica assolutamente priva di censure estetiche e morali e di una tenacia umana davvero eccezionale. L'autore del volume procede così ad analizzare i tre periodi principali dell'attività del Warhol regista cinematografico, dal "periodo muto" del biennio 1963-64, comprendente lavori assolutamente celebri come Sleep, Empire e Blow Job, al "primo periodo sonoro" (dal '64 al '65), con il successo anche commerciale di The Hustler che segna l'inizio della collaborazione con Paul Morrissey, per arrivare quindi al "secondo periodo sonoro", tra il 1966 e il 1970, quando dopo lo strabiliante successo dell'Exploding Plastic Inevitabile Show, vengono realizzate opere fondamentali come The Velvet Underground & Nico, The Chelsea Girls, Imitation of Christ e Lonesome Cowboys.
È attraverso l'analisi di questi film che l'autore del volume conferma il ruolo decisivo svolto da Warhol nell'interpretare la progressiva massificazione dell'arte, non senza tuttavia sottolineare come "quanto accade oggi nella produzione di film o documentari live in direct non ha nulla a che fare con la classe o il distacco con cui Warhol affronta le situazioni più eccentriche nella veste di controllore e di organizzatore della scena", poiché l'artista "vive il cinema senza le imposizioni legate all'esigenza di monetizzare le sue sperimentazioni e quindi di piacere per forza al grande pubblico". Come a dire che un conto è riflettere sulla massificazione dell'opera d'arte e un conto è approfittare di codesta tendenza per abbandonare l'arte e serializzare il trash. Perché Andy Warhol ci ha insegnato che la vita è troppo vana per pensare che si possa ingabbiare in stupidi schemi.
Umberto Mosca
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