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Anno edizione: 2019
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Quanto la qualità di un evento musicale viene rispettata e preservata nell’attuale trasmissione informatica, vastissima, incontrollata, pervadente? All’utente di Spotify è garantita una fruizione intelligente, meditata, consapevole di ciò che ascolta? E al compositore di adesso, cui si offrono opportunità esplorative prima inesistenti, è assicurata la capacità di mantenere una creatività genuina, non contaminata? Partendo da premesse generali sui dati sconfortanti che riguardano la promozione e la diffusione della musica classica (in particolare di quella contemporanea), l’autore constata quanto poco spazio le venga riservato dai media. La musica colta è considerata “un reperto sopravvissuto a un passato certamente illustre ma ormai costoso e inutile”, priva di futuro perché difficile da capire, male insegnata nelle scuole, poco sfruttata come evento culturale. Il repertorio attuale è ignorato per la diffidenza di sovrintendenti interessati solo a riempire i teatri, ma anche per la pigrizia mentale e il sospetto di direttori d’orchestra, strumentisti e cantanti, i quali temendo contestazioni non si azzardano a proporre opere ritenute troppo innovative. Non sono pertanto gli autori, ma i responsabili delle istituzioni culturali che dovrebbero incoraggiare una programmazione moderna costante, varia e di qualità, per incrementare l’ascolto di musica classica d’avanguardia. Un ulteriore stimolo potrebbe venire dalla rete, che ha completamente modificato il modo di produrre musica e di fruirne, permettendo a tutti di ascoltare qualsiasi cosa in diretta streaming, di assistere a concerti e registrazioni su YouTube, di mescolare differenti generi musicali. A questo punto, forse solo la musica classica può rappresentare una ribellione all’omologazione preconfezionata che ci propinano i media, aiutandoci a fare della nostra vita qualcosa di più autentico e arricchente.
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