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Amori - Paul Léautaud - copertina
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Amori - Paul Léautaud - copertina

Descrizione


Paul Léautaud, piccolo classico del Novecento e mito discreto, aveva fatto nella sua vita ciò che ognuno almeno una volta ha vagheggiato: aveva trasformato una gelosa, ermetica solitudine in un osservatorio sulle assurdità e le bassezze del tempo. Ed anche questi tre racconti non concedono nulla di prevedibile al lettore: buoni sentimenti, riferimenti ideologici, appartenenze letterarie, perfino l'inevitabile speranza, di ciò tutto è estraneo a una scrittura che odia ogni preziosismo e resta elegantissima e crudele mentre affonda nelle lacerazioni di una vita: "Nessuno mi avrà conosciuto. Sono stato, sotto il mio riso, il disincanto, la disperazione assoluta. Non l'ho mai mostrato per pudore, nel timore del ridicolo". Il primo dei tre, "Il piccolo amico," è una cronaca-confessione di straziante distacco, pur nell'immagine che vuol offrire di quasi gaio cinismo, del suo rapporto con la madre eterna assente: Léautaud, abbandonato a pochi giorni dalla nascita, la rivide solo dopo vent'anni (tranne per brevi incontri occasionali) e ne fu appassionato così intensamente da turbarla e spingerla ad allontanarsi per sempre. Gli altri due racconti si riconnettono in realtà a quel travolgente amore: "In memoriam" ricorda la morte del padre e "Amori", ancora una storia di abbandono, racconta della prima esperienza erotica e del primo innamoramento per una "amica" che poi dovette sposare il suo protettore.
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Dettagli

2011
10 febbraio 2011
312 p., Brossura
9788838925320

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Rosario
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Tre piccoli racconti autobiografici collegati tra di loro e che completano quelle belle stagioni prima di ritrovarsi nel mondo degli adulti. C’è poi chi come Léautaud ci entra da adolescente e l’attraversa in maniera singolare, fuori dalle convenzioni. Tre piccoli capolavori per stile narrativo e contenuto che descriverei come “gioioso” nonostante narri la complessità della vita e dei rapporti. Scritti agli inizi del ‘900 si distinguono dal resto della letteratura dell’epoca collocandosi in un tempo altro per originalità. Bello, come una rosa in un campo di papaveri! Da leggere. Lo consiglio!

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Voce della critica

Non c'è spazio per Paul Léautaud in alcune dotte e moderne storie letterarie (non ne faremo l'elenco): nude citazioni se non assenza completa del nome. Forse un contrappasso per colui che avrebbe anche rubato un libro pur di evitare "la promiscuità delle biblioteche". Lode e rigetto di Léautaud spesso non conoscono termine medio, anche tra lettori di rango. Se Valéry salutò in Le Petit Ami un capolavoro, la lettura di Amours fu invece urticante per Proust che ne aborrì con insolito furore la bassezza di stile e di sentimenti (sussulto quantomeno ambiguo per un futuro narratore di profanazioni domestiche).
Le proprie infanzia e adolescenza, certamente singolari, Léautaud, poco più che trentenne, le rievoca in tre disinibite narrazioni che tendono a rimandi reciproci. Nella prima – Il piccolo amico, 1903 – si racconta il desiderio provato nei confronti della madre, l'attrice Jeanne Forestier, che lo aveva abbandonato a tre giorni dal parto; è un desiderio che cresce morbosamente nelle sporadiche visite che lei gli concede durante i brevi ritorni a Parigi e infine nell'ultima e più lunga occasione, tre giorni a Calais, quando Léautaud è ormai un uomo (l'imbarazzo sfocerà nel distacco e in un febbricitante scambio epistolare, le Lettres à ma mere).
La convivenza forzata con un genitore anaffettivo e libertino (Firmin Léautaud, suggeritore alla Comédie Française) è lo sfondo di In memoriam (1905) che declina in quella disincantata descrizione della lenta agonia paterna che costò al "Mercure" circa 50 disabbonamenti (la morte altrui, la "dernière forme", fu sempre oggetto d'osservazione per il longevo misantropo: da Coppée a Gide è una lunga rassegna).
Infine, Amori (1906, che in questa edizione Sellerio brillantemente tradotta da Alessandro Torrigiani, dà il titolo alla trilogia) rievoca la prima esperienza erotico-sentimentale (con tal Jeanne Marié), intensa agli inizi ma effimera. Difficile a credersi, ma la tristezza dei fatti quasi si annulla nei modi del racconto: misto di distacco, ironia, colloquialità, raziocinio; c'è persino rimpianto per quello che in una pagina è generosamente definito "tempo felice", e grande simpatia per il se stesso bambino, come provano i nostalgici e mai stucchevoli sopralluoghi del narratore, speranzoso di ritrovare più o meno integri quegli scenari (strade, cortili, pianerottoli, stanze) intorno a rue des Martyrs legati soprattutto alla madre e coltivati da una memoria tenace.
Se le icone letterarie di una vita (il nipote di Rameau, Candide, la Sanseverina e soprattutto Alceste di Molière) già rivelano ideali di suprema asciuttezza, il percorso di Léautaud, agli antipodi di ogni costruzione fantastica,ha dirette ascendenze nei "confessori di se stessi", nei più classici crocevia di memorialistica e aneddotica: La Rochefoucauld, Retz, Voltaire, Chamfort, Ligne, Stendhal. Quanto allo stile, quel che eccede le categorie predilette ("brièveté", "naturel", "simplicité", "netteté") è respinto implacabilmente. Un mito avverso è la perfezione alla Flaubert ("cinquanta Flaubert per uno Stendhal"), cui contrappone lo scrivere "au courant de la plume" (il Candide scritto in sei giorni); e l'insofferenza per gli scrittori che usano il dizionario è coerente con l'asserzione di non aver mai temuto la ripetizione di parole. Cita una massima di Courier per esorcizzare, naturalmente, la metafora.
Non c'è dunque suo scritto (Passe-Temps, Propos d'un jour) che non sia autoreferenziale; più che mai quel Journal Littéraire (1893-1956) che rivaleggia per estensione e lucidità con quello ottocentesco dei Goncourt, dove alcune incidentali affinità (freddezza di mente, disistima per l'altro sesso, centralità della scrittura e di Parigi) non escludono fortissime differenze (per Léautaud sono inconcepibili alta società, ricerca della perfezione, premi letterari, bibliofilia, collezionismi: tutte le manie perseguite dai frères).
Il Journal conferma a ogni pagina il passatismo da sopravvissuto. Tra i contemporanei stima Henri de Regnier con i suoi vagheggiamenti del Settecento, Rémy de Gourmont, Francis Jammes; apprezza la prosa classica di Valéry (dove non cada nelle astrazioni) e di Gide (ma non quella engagée: niente al suo scetticismo è più estraneo di impegno e utopie, terrene e celesti). Naturalmente non affronta la Recherche, pur intuendone da pochi scorci l'originalità del punto di vista; del resto sentiva già estranea la grande stagione del romanzo da Balzac a Zola (e non si parli di un Dostoevskij). Ammiratore precoce di Mallarmé e compilatore con Adolphe Van Bever di una raffinata antologia poetica (Poètes d'aujourd'hui, 1900), con gli anni perde anche ogni affezione per la poesia francese così genuflessa all'"idolatria femminile". Quanto al teatro contemporaneo, basta sfogliare le critiche abrasive redatte per il "Mercure de France" con lo pseudonimo di Maurice Boissard (e per le quali Walter Benjamin lo accostò a Karl Kraus).
Strano a dirsi, più orizzonti e perimetri del diarista si autorestringono e più un esprit vitalissimo e umorale illumina migliaia di pagine di incontri, fatti, commenti tranchants. L'osservatore è caustico, la panoramica vertiginosa. Disistima e diffidenza granitiche verso la specie umana saranno una cerniera, degna di Alceste, a legami profondi: non una grande amicizia in ottant'anni (salvo quella giovanile per Van Bever raccontata in Amours); e le conviventi di lungo corso, Anne Cayssac ("la pantera") e poi Marie Dormoy ("il flagello") sono solo oggetto di disarmante cameratismo sessuale (simile a quello del "piccolo amico" per le cocottes), svuotato di ogni tenerezza e riportato con minuziosa impudicizia nella miniera dei diari.
Gli unici cedimenti del cuore Léautaud li riserva all'intelligenza e alla fedeltà delle centinaia di gatti e cani abbandonati, raccolti nell'eremo di Fontenay-aux-Roses. Sacrifici, corvées e beatitudini sono raccontati con sobria trepidazione nelle pagine postume di Bestiaire (1959). Eloquente la tarda iconografia: il vegliardo, all'osso come l'ultimo Voltaire, circondato da decine di felini ("ma meilleure société"); nel miserabile disordine vari oggetti desueti: candele (sostitutive dell'elettricità), una penna d'oca (il "grincement" sulla carta come primo dei piaceri: scrivere). Fontenay-aux-Roses, punta massima dell'animalismo di Léautaud: nessun'altra ragione avrebbe mai dislocato in periferia un tal"parigino nel profondo del cuore", flâneur metropolitano, insensibile alla natura (altra affinità con i Goncourt).
Si può anche leggere la trilogia come nostalgico inno a Parigi (quella fotografata da Atget, senza i prodromi del nuovo del Paysan di Aragon). Varcata la metà Ottocento, i Goncourt sognavano la Parigi di Balzac; entrato nel nuovo secolo, Léautaud rimpiange quella di trent'anni prima: lasso temporale, sembra, decisivo per dolorosi ammodernamenti. L'inviso riassetto del Luxembourg, la perdita d'identità del vecchio Boulevard Saint-Michel, le sagome da officina della nuova Sorbona, la scomparsa di botteghe centenarie si mescolano inestricabilmente ai rimpianti per l'infanzia e per l'ultima generazione dell'Ottocento: "Che bei giorni, coi loro personaggi pieni di tenerezza e di grazia, sullo sfondo extra parigino che conosciamo!". In queste flâneries non sono uno dei fascini minori gli amorevoli dettagli toponomastici, quelli che nel Brulard Stendhal risolveva con repentini schizzi grafici.
Carlo Lauro

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Paul Léautaud

(Parigi 1872 - Robinson, Parigi, 1956) scrittore francese. Collaboratore del «Mercure de France», critico drammatico con lo pseudonimo di Maurice Boissard, autore (insieme con Adolphe van Bever) di un’importante antologia di poeti simbolisti, suscitò intorno a sé, una pittoresca leggenda basata sulla sua misantropia, sulla perentorietà severa dei suoi giudizi, sul suo amore per gli animali: leggenda alla quale contribuirono le Conversazioni con Robert Mallet (Entretiens avec Robert Mallet), realizzate per la radio e raccolte in volume nel 1952. Dopo la sua morte, e man mano che procedeva la pubblicazione, iniziata nel 1954, del Diario letterario (Journal littéraire), alla cui stesura aveva atteso sin dal 1893, si scoprì in L. uno scrittore dalla singolare personalità e dallo stile insieme...

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