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Prefazione di Giovanna Zucconi.
Se tutto ciò che è mortale si consuma fino a scomparire, solo scrivere libri nuovi e conservare quelli già scritti dona l’immortalità: “Solo così quell’eternità che ripugna alla natura dell’individuo potrà essere concessa in privilegio alla specie”.
Per questo Richard De Bury, bulimico collezionista e ricettatore di manoscritti, raccoglie una biblioteca sterminata. Per questo scrive un trattato sull’amore incondizionato per i libri, il Philobiblon.
Le pagine di questo testo sono un inno all’umana sapienza trascritta, che si tramanda a ogni generazione “perché non vi sia mai termine”. Ma sono ancor di più il diario quotidiano di una passione viscerale: i suoi oggetti, come quelli di ogni privata mania, devono essere protetti, difesi a qualunque costo. Perché le minacce arrivano, imprevedibili, da ogni parte: dagli studenti che non si vergognano di “mangiare frutta e formaggio sul libro aperto” ai professori che, privi di ogni decenza, salgono “in cattedra senza la necessaria preparazione, ma a balzi come le capre!”.
In pieno Trecento questo politico, vescovo e diplomatico alla corte inglese guardava lontano. E Giovanna Zucconi ci rammenta che “se qualcuno oggi scrivesse un trattatello sui libri, gli basterebbe ruttare ‘i libri fanno schifo’ oppure, se esponente dell’élite al potere, ‘i libri sono tristi’, e cambiare canale”. I libri, lontani dai valori dominanti di questa nostra storia, “non schiudono più il senso, e si sfaldano, e muoiono”.
Ma non dobbiamo ingannarci: De Bury, con tutta la gioia dell’amante e l’ossessione del collezionista, la passione del seduttore e l’arrendevolezza del sedotto, ci lascia una testimonianza che oltrepassa le miserie di ogni presente. E ci racconta come la cultura sia sempre stata in viaggio, anzi in esilio: abitando le terre degli indiani, poi degli egizi, quindi dei greci, dei romani e degli arabi. È cresciuta e si è inabissata, per riemergere ogni volta fra le mani di coloro che hanno scritto e trascritto, inventato e conservato: perché “la volontà di Dio ha fornito l’uomo delle dita per scrivere e non per combattere”.
Questa incessante presenza, a un tempo invadente e pudica, è raccontata nel Philobiblon, fra tirate pompose, stoccate ironiche, divagazioni curiose su personaggi mitici e digressioni facete su eventi antichi. Il risultato è un testo spiritoso e spiazzante che coglierà di sorpresa qualsiasi lettore.
Se tutto ciò che è mortale si consuma fino a scomparire, solo scrivere libri nuovi e conservare quelli già scritti dona l’immortalità: “Solo così quell’eternità che ripugna alla natura dell’individuo potrà essere concessa in privilegio alla specie”.
Per questo Richard De Bury, bulimico collezionista e ricettatore di manoscritti, raccoglie una biblioteca sterminata. Per questo scrive un trattato sull’amore incondizionato per i libri, il Philobiblon.
Le pagine di questo testo sono un inno all’umana sapienza trascritta, che si tramanda a ogni generazione “perché non vi sia mai termine”. Ma sono ancor di più il diario quotidiano di una passione viscerale: i suoi oggetti, come quelli di ogni privata mania, devono essere protetti, difesi a qualunque costo. Perché le minacce arrivano, imprevedibili, da ogni parte: dagli studenti che non si vergognano di “mangiare frutta e formaggio sul libro aperto” ai professori che, privi di ogni decenza, salgono “in cattedra senza la necessaria preparazione, ma a balzi come le capre!”.
In pieno Trecento questo politico, vescovo e diplomatico alla corte inglese guardava lontano. E Giovanna Zucconi ci rammenta che “se qualcuno oggi scrivesse un trattatello sui libri, gli basterebbe ruttare ‘i libri fanno schifo’ oppure, se esponente dell’élite al potere, ‘i libri sono tristi’, e cambiare canale”. I libri, lontani dai valori dominanti di questa nostra storia, “non schiudono più il senso, e si sfaldano, e muoiono”.
Ma non dobbiamo ingannarci: De Bury, con tutta la gioia dell’amante e l’ossessione del collezionista, la passione del seduttore e l’arrendevolezza del sedotto, ci lascia una testimonianza che oltrepassa le miserie di ogni presente. E ci racconta come la cultura sia sempre stata in viaggio, anzi in esilio: abitando le terre degli indiani, poi degli egizi, quindi dei greci, dei romani e degli arabi. È cresciuta e si è inabissata, per riemergere ogni volta fra le mani di coloro che hanno scritto e trascritto, inventato e conservato: perché “la volontà di Dio ha fornito l’uomo delle dita per scrivere e non per combattere”.
Questa incessante presenza, a un tempo invadente e pudica, è raccontata nel Philobiblon, fra tirate pompose, stoccate ironiche, divagazioni curiose su personaggi mitici e digressioni facete su eventi antichi. Il risultato è un testo spiritoso e spiazzante che coglierà di sorpresa qualsiasi lettore.
Prefazione di Giovanna Zucconi
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