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Prima ristampa
recensione di Bertone, G., L'Indice 1998, n. 1
I novantanove sonetti più uno conclusivo di Roberto Piumini convincono. Convincono alla prima e tengono bene alla seconda lettura. Ma soprattutto vanno salutati per la loro eccezionalità nella tradizione italica: questi versi tutti dedicati alla stessa donna, invocata come sposa, non puntano alla luna neopetrarchistica né al sublime del basso, ma mescidano forme tragiche, cioè dantescamente alte e nobili, e forme comiche, cioè ironiche, ammiccanti, divertite, spiazzanti, quasi fiabesche, in un inno di canto vario di toni e situazioni che nulla vuol togliere però alla spiegata passione, all'affetto e all'erotismo fedelissimi. La scelta era difficile già in partenza: solo sonetti d'alto lignaggio e piuttosto regolari, con preferenza della prestilnovistica quartina alternata ABAB sull'incrociata ABBA, con qualche scantonamento - prevedibile e perfino auspicabile nel giocoso raccontatore e poeta dal cognome onomantico, ben più noto come scrittore per ragazzi, ma ora rivolto in versi e romanzi agli adulti - nelle rime tronche che piegano alla filastrocca. Piumini non disconosce la tradizione moderna, il sanguinetismo, il neo-neoavanguardismo, per esempio, ma lo sfiora appena, lo reinventa con grazia e misura (e senso onesto della necessità): "lievi trafficari di delizia" e poi "inunandosi", "cilindrifatte", ecc. (ma a p. 114 non sarà "sciancami" tutto attaccato?). Usa "viaggio" bisillabo alla Montale, altrove trisillabo alla toscana; non meno preziose, ma solo quando occorre, certe rime. Ma il "niente" consapevole dell'amante non distrugge l'amore, né lo converte narcisisticamente all'onanismo secondo esempi di eventuali maestri: è dedizione al corpo dell'amata, è "passio" sana ("come è un'alba in tempo di salute") e la stessa "goffaggine dell'amante" porta all'allegria. "Passio" sana pure nella forma: al chiuso del sonetto corrisponde una dizione chiara e precisa, tutto è trasparente, chiaro, dicibile, comunicabile come a un figlio una limpida e commossa lezione d'amore e di sesso esemplificata sui genitori, comico-ironica quanto basta a eliminare ogni traccia di pieghe freudiane o peggiori tormenti e cuperie. Non che non vi siano cadute. Attacca (gli attacchi dei primi versi sono quasi tutti splendidi; ma perché mai stamparli in tutto maiuscolo nel titolo?) con un quasi montaliano "Ti prendo fra le mani il chiaro volto" e poi scivola con un "e poi perché è il momento di baciarsi molto". E la "dama del Trecento" meglio sarebbe una Donna, ossia Domina. Così quando sembra quasi sfidare Dante o Petrarca o un tema topico (il più topico: il sonetto sul sonetto) l'esito è incerto. Ma quando è nel suo, quando prende un'occasione di per sé comica e domestica e l'innalza, la nobilita d'amore e di belle invenzioni formali, allora è perfetto. Come in "Il bagno che tu occupi è fontana", sui rumori misteriosi di lei al bagno, non il bagno nei fiumi di Cézanne o Monet, ma il bagno col water, il bidet, la vasca. E léggiti ancora l'amore che fanno le mani che si toccano quando la coppia passeg""gia; e ancora il sonetto sull'ombra dell'amante e dell'amata, e decine e decine d'altri in aggiunta. Con l'incanto mediano dei versi scoprirai che il Trecento citato è una donna dello schermo; e s'inganni chi vuole. Sonetti così, intrisi di comico ma nel contempo alti e fermi, potevano scriverli solo i classici. Il nostro Piumini - di questi tempi! - è riuscito a cogliere "l'aurea mediocritas".
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