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Smorza quasi ogni slancio l'idea di mettersi a recensire un'opera simile, spegne e atterra anche le forze più intense a misurarcisi, tanto è imprendibile, sfuggente ed eterna la grandezza di questo testo. Il voto deve fermarsi alla convenzione di un cinque, gli obblighi di un rettangolo a caratteri chiusi stringono le volontà ad esondare in entusiasmi senza freni, e il canto che rimane nell'anima, la vastità e lo sconcerto commosso che ne sortiscono ad ogni rigo impigliano troppo la ragione dentro recinti frustrati per poter davvero aprire il respiro alla verità della gratitudine. Ma sarebbe indegno sottrarsi a tanta meraviglia, e almeno è d'obbligo onorare lo spazio a disposizione. La menzogna come un amo lanciato a capire, tema strepitoso nel teatro, nella vita, una follia taciuta, modulata e studiata che forse non è che il nostro polso quotidiano piegato nella necessità, nei bisogni, e un vertice di confronti dialettici che è impari davanti ad ogni collega. Poesia sminuzzata in poesia, niente è trascurato nella moltitudine quasi insonne di personaggi che aleggia nelle pagine, dal fantasma del padre a chiunque si succeda e abiti nella storia. Voci immense quasi senza corpo, una violenta partitura dell'anima che è opera di incubo e di stupore. Il teschio di Yorick declama il vivere e la sua splendida insania non meno della scogliera o dello specchio in altre scene. Teatro nel teatro, astuzia, astio, amore e genio sparsi dappertutto come petali di rarissima eloquenza, veri e letterari insieme non solo perché la certezza umana ha sempre comunque bisogno di un soccorso, ma anche perché il dubbio svela sempre le sue regole esatte in una fragilità umana che nessuno potrebbe smentire. Tremore e felicità, credo non possa sgorgare altro dalla lettura, dall'attraversamento di quest'opera, che non è solo un libro o un'invenzione, ma la quintessenza stessa del prodigio di cui è capace la poesia, la poesia parlata, la poesia amata, la poesia che è luce sulla morte.
L’intera vicenda è ricca di significati paralleli che investono tanti aspetti dell’esperienza umana, grazie a questa costanza della qualità del messaggio, l ”Amleto” é un’unicum, rispetto al resto della produzione di Shakespeare. Iago, Riccardo III ed Enrico V sono figure potenti ma non sfiorano lontanamente la complessità dei sentimenti del principe di Danimarca: rileggere la tragedia porta a scoprire sempre nuovi spunti di riflessione, tanto è ricco il testo di stimoli. Se nella tragedia Amleto è il personaggio più compiuto, ciò non vuol dire che sia l’unico ad avere una personalità delineata e complessa. Ad esempio Claudio che, nel terzo atto, prega e vorrebbe pentirsi, ma ammettendo le sue debolezze umane “si può impetrar perdono e perdurar nella colpa ?”, rimane irresoluto, cambiando poi nel quarto atto per diventare deciso e senza scrupoli “quel che vorremmo fare, dovremmo farlo all’atto del volerlo”. Pur prendendo atto della profondità dell’opera, la lettura è però meno agevole che con altri drammi, talvolta infatti inciampa e rallenta rispetto ai messaggi meno poliedrici di un “Coriolano” o di un “Macbeth”.
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