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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2021
Un’operazione culturale fra le più importanti dell’editoria italiana è quella di restituire una casa, nella nostra lingua, ad Harold Brodkey, figlio di ebrei russi, fra i maggiori scrittori statunitensi del XX secolo e, dunque, del mondo. Un’operazione portata avanti, meritoriamente, da Fandango, che si arricchisce di un tassello prezioso, la ripubblicazione del suo secondo romanzo Amicizie profane (460 pagine, 25 euro), edito tre anni dopo L’anima che fugge, che aveva richiesto quasi un terzo di secolo per vedere la luce. Scrittore dell’anima e dei suoi abissi, dell’innocenza e della perdizione, della memoria e dei suoi labirinti, Brodkey, scomparso nel 1996, sconta il pregiudizio di taluni critici che non digeriscono la sua prosa verbosa e magmatica, il fatto di essere considerato più uno scrittore per scrittori, come Gaddis e Pynchon, che uno di quei geni anche popolari (da Shakespeare a Philip Roth). Anche Amicizie profane – riproposto nella prima storica traduzione di Delfina Vezzoli – è a tratti ridondante ed ermetico in qualche passaggio, ma l’arte che emanano le pagine di Brodkey ripaga ampiamente di frasi lunghe e di qualche farraginosità. È un romanzo d’amore nel senso più completo, puro e perverso del termine, che lascia storditi. L’amore è centrale, è ciò che interessa la voce narrante e l’autore.
Amicizie profane nacque come testo commissionato dal Consorzio Venezia Nuova e fu inizialmente pubblicato come strenna natalizia, in un’edizione fuori commercio. Brodkey amò la città lagunare, vi soggiornò per alcuni mesi con la moglie Ellen Schwamm (come si evince anche da altre sue opere), e proprio lì ambientò questo romanzo, poi rielaborato e ampliato e riproposto nelle librerie sotto l’egida dell’editore Mondadori. La decadente Venezia, tuttavia, sembra un proscenio di cartapesta, Brodkey se la cava, citando alcuni luoghi, ma non va troppo in profondità, non si sofferma.
Ben altro obiettivo ha Amicizie profane in cui spesso aleggia Hemingway (amico del padre di uno dei protagonisti), ma che è un libro totalmente agli antipodi di quelli del Nobel 1954. «Il vecchio eccentrico» che parla in prima persona scrive mentre «il mondo rigurgita di politica, di carestie e di violenza, come al solito» e si propone di ottenere «un tentativo di ritrarre la vera natura dell’amore valendosi di un modello che potrebbe anche non essere un vero esempio di amore e di cui comunque non mi compete la rappresentazione, dato che sono parte criminalmente in causa».
Attrae e turba, questo romanzo. Niles O’Hara, detto Nino, figlio dello scrittore Dennis («diabetico, fumatore e bevitore»), torna nel 1991 a Venezia, dove quasi sessant’anni prima aveva conosciuto Giangiacomo Galliani, detto Onni, «il bel figlioletto atletico di un fascista», che la madre avvierà ben presto alla prostituzione. Niles è un uomo «convinto che non esiste altro al mondo al di fuori di quello del tempo e delle carezze». E la sua vita cambia dall’incontro con Onni, sui banchi di scuola. È la miccia di una fratellanza, che sarà via via amicizia privilegiata, desiderio rabbioso dell’altro, eccitante cameratismo di giochi violenti, sesso e sua coazione a ripetere, (già nella Venezia post bellica, dove Niles torna con madre e fratello) e infine amore, assoluto amore.
La guerra ha lasciato segni addosso a Onni (forse violentato da un soldato tedesco), mentre Niles l’ha vissuta dagli Usa. Il loro legame sopravviverà al tempo. Niles diventerà scrittore, Onni una star del cinema.
In una mutevole narrazione sogno e realtà si avvitano spesso e si avvolgono l’uno nell’altra. I protagonisti del romanzo di Brodkey sono sempre affamati di scoperte e intimità, sull’orlo del precipizio di tutte le iniziazioni della vita; i periodi della prosa corposa sono frammentati, non c’è un traguardo, ma continue digressioni di morbose ossessioni, lo scandaglio psicologico è costante. Sono questi i tratti che avvicinano Brodkey ai grandissimi e più complessi autori del ventesimo secolo.
In Amicizie profane Brodkey finisce per percorrere due vite (sullo sfondo l’«ostinata onnipotenza del tempo») e, con Onni, arrivare alla conclusione che i suoi due protagonisti sono amici, «in modo profano». Fino a un ultimo incontro, sempre veneziano, tra le calli e il Gritti, non una resa dei conti, dove Onni, divo del cinema, «intelligente e ingannato dal potere», «ricco e indurito», è «ridotto all’ombra di se stesso, attempato, ricostruito chirurgicamente, una proiezione immaginaria, tecnicamente (e moralmente) complesso, questo meccanismo spettacolare di chiara fama… E il ragazzino che era, vanesio, coraggioso, orribile e astuto, ricercato, i succosi orrori dell’amore che aveva conosciuto». Onni gira un film, riesce a trattenere Nino oltre il dovuto in Laguna, gli confessa: «Ti amo senza l’ombra di un sentimento». Lo scrittore al massimo può promettergli che scriverà qualcosa da recitare per lui, ma non arriverà mai un monologo, semmai questo romanzo che il lettore legge, rapito, per oltre quattrocento pagine.
Recensione di Giosuè Colomba
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