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Americana - Don DeLillo - copertina
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Americana

Descrizione


Ventotto anni, bello, manager di una grande rete televisiva: David Bell è il sogno americano diventato realtà. Cinico yuppie ante litteram nella New York degli anni Settanta, si nutre delle stesse immagini che trasmette il suo network. Ma dalla vetta del successo, gli si spalanca davanti un vuoto insostenibile. Decide così di lasciare il suo ufficio a Manhattan e di iniziare un pellegrinaggio nel cuore dell'America a bordo di un camper con tre improbabili compagni e la cinepresa in spalla. Il suo piano: filmare la vita della gente comune nelle piccole città di provincia. Un viaggio per catturare i volti veri, la rabbia, i conflitti di cui è intessuto il paese. È il film della sua vita, il suo film, il folle tentativo di scrivere un pezzo di storia americana, con l'arma di un umorismo raggelante e con gli scarti della cultura di massa.
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Dettagli

2008
Tascabile
400 p., Brossura
9788806189877
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Indice


Le prime frasi del romanzo:

1

E così arrivammo alla fine di un altro stupido e lurido anno. Le luminarie sormontavano scintillanti le porte dei negozi. I venditori di caldarroste spingevano i carretti fumanti. Di sera, la folla in strada era immensa e il fragore del traffico saliva a trasformarsi in un'ondata di piena. I Babbi Natale della Quinta Avenue scampanellavano con una delicatezza strana e quasi dolente, come a spargere sale su un taglio di carne guasta. In tutti i negozi risuonavano musichette, canti e osanna natalizi, e le trombe dell'Esercito della Salvezza diffondevano i lamenti marziali di antiche legioni cristiane. L'effetto sonoro in quel luogo e in quel momento era bizzarro, fragore di piatti e rullare di tamburi, come un rimprovero impartito a dei bambini per un peccato imperdonabile, e la gente era infastidita. Ma le ragazze erano adorabili e spensierate, entravano nei negozi più stravaganti a fare acquisti, attraversavano i tanti tramonti magnetici della sera come majorettes, alte e rosee, stringendo ai morbidi seni pacchetti avvolti in carta colorata. Il pastore tedesco del cieco continuava a dormire senza accorgersi di nulla.
Finalmente arrivammo a casa di Quincy. Ci aprì sua moglie. Io le presentai la ragazza che mi accompagnava, B. G. Haines, dopo di che contai i presenti. Nel farlo mi ritrovai, quasi senza accorgermi, a chiacchierare con lei dell'India. Quella di contare i presenti nelle case altrui era una mia vecchia abitudine. Mi era sempre sembrato importante sapere esattamente quante persone avevo intorno, forse perché le notizie ricorrenti di disastri aerei e offensive militari ponevano sempre grande enfasi sul conteggio dei morti e dei dispersi, precisione utile a pungolare anche i cervelli più intorpiditi come una scossettina elettrica. Contati i presenti, il secondo imperativo in ordine di importanza era accertarsi del loro grado di ostilità. Relativamente semplice. Bastava vedere chi si voltava a fissare il nuovo arrivato appena varcava la soglia. In genere bastava un'occhiata attenta per farsi un'idea quasi esatta. Quella sera nel soggiorno c'erano trentun persone. Ostili, più o meno tre su quattro.
La moglie di Quincy e la mia accompagnatrice si scambiarono un sorriso nel notare che portavano gli stessi orecchini con il simbolo della pace. Restammo ad aspettare che qualcuno si avvicinasse per fare conversazione. Era una festa e non avevamo nessuna voglia di intrattenerci fra noi due. Eravamo lì per incontrare gente interessante con cui chiacchierare, quindi rivederci alla fine della serata e dirci quanto ci eravamo annoiati e com'era bello ritrovarsi. È questa l'essenza della civiltà occidentale. Solo che in realtà non aveva poi grande importanza, visto che un'ora dopo ci annoiavamo tutti indistintamente. Era una di quelle feste talmente noiose che ben presto la noia diventa argomento principale di conversazione. Dove ci si sposta da un gruppetto di convitati all'altro e si sente la stessa frase almeno dieci volte: "Sembra di stare in un film di Antonioni". Con la differenza che le facce non sono altrettanto interessanti.
Decisi di andare in bagno per guardarmi allo specchio. Alle pareti erano appesi sei graffiti incorniciati. Lettere enormi in grassetto, corpo 60 circa, su carta patinata, stampate in corsivo per dare un'impressione di maggiore realismo. Tre dei graffiti erano blasfemi, gli altri tre osceni. Le cornici avevano l'aria di costare un sacco. Mi accorsi che avevo un po' di forfora sulle spalle della giacca. Stavo per spazzolarla via, quando entrò nel bagno una ragazza che si chiamava Pru Morrison. Veniva da un paesino non meglio specificato della contea di Bucks, e cominciava appena a lasciarsi travolgere dal vortice della monotonia metropolitana. Rimase immobile a guardarmi, con la schiena contro la porta chiusa. Aveva solo diciotto anni, e io ero al tempo stesso troppo vecchio e troppo giovane per interessarmi a lei. Ciò detto, non volevo farle scoprire che avevo la forfora.
"Ho pensato di fare un salto a lavarmi le mani."
"Chi è quella negra?"
"Pru, questa settimana da Peck and Peck c'è una grande svendita di frustini. Perchè non fai una scappata?"
"Non sapevo che uscissi con le negre, David."
Io cominciai a lavarmi le mani. Pru si mise a sedere sul bordo della vasca da bagno e aprì il rubinetto giusto quel tanto per far scorrere un filo d'acqua. Mi domandai se il gesto sottendesse messaggi sessuali di sorta. A volte è difficile capirle certe cose.
"Mi è arrivata una lettera da mio fratello" disse lei. "Lo hanno messo al comando di un lanciagranate M-79. Sta in una delle zone di guerra più pericolose. Scrive che per ogni centimetro quadrato di terra ci si batte con le unghie e i denti. Dovresti proprio leggere le sue lettere, David. Sono micidiali."
Tutte le sere si sentiva parlare della guerra in televisione, ma noi preferivamo andare al cinema. Ben presto i film erano cominciati a sembrarci tutti uguali, e così avevamo traslocato in massa in camerette immerse nella penombra dove ci riunivamo a eccitarci o ammosciarci, oppure a guardare gli altri che si eccitavano o ammosciavano, o a bruciare bastoncini d'incenso e ascoltare cassette praticamente mute. Io portavo sempre con me la cinepresa da 16 mm. Era un giocattolino proprio spiritoso, e ogni volta tutti ne rimanevano deliziati.

Valutazioni e recensioni

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Daniele
Recensioni: 4/5

DeLillo regala fotografie splendide di un’America forse sconosciuta a molti, la descrive con la stessa dolcezza di un padre e proprio come un buon padre non risparmia rimproveri. L’America criticata da DeLillo è quella che vive di edonismo e beni materiali, quella che ha azzerato la bellezza delle cose semplici per fare posto solo a denaro e potere. Da questo forte punto di vista DeLillo parte alla ricerca di un nuovo io, un viaggio a ritroso per ritornare là dove si è partiti, là dove si è lasciata una grande fetta di felicità.

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michele corcella
Recensioni: 3/5

Questo libro mantiene esattamente ciò che promette. E' il romanzo d'esordio di quello che negli anni successivi sarebbe diventato uno dei massimi esponenti della narrativa americana. DeLillo mette forse un po' troppa carne al fuoco e soprattutto non ha ancora asciugato la sua scrittura, cosa che gli permetterà nei lavori successivi di raggiungere la massima maturità espressiva. Le microstorie, ad esempio quella raccontata da Sullivan verso la fine del romanzo, sono un po' forzate e tolgono l'attenzione dai temi principali del libro. Detto questo, la qualità della scrittura di Delillo è elevatissima. L'autore affronta temi impegnativi con grande maestria: la critica della società americana, la ricerca della libertà, i continui riferimenti al tema paura della morte che sarà poi ripresa in maniera superlativa in "Rumore Bianco". Leggendo la trama ci si potrebbe aspettare un libro "on the road". Ma Americana è qualcosa in meno di un libro "on the road" ma sopratutto è qualcosa in più: un viaggio all'interno del proprio io. Consigliato sopratutto a chi ha intenzione di conoscere meglio questo autore prima di leggere o dopo aver letto i suoi lavori più importanti.

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Giuseppe Russo
Recensioni: 3/5

Questo è un romanzo fortemente "derridiano", che pratica il procedimento della disseminazione in modi molto simili a quelli scelti da Wim Wenders per «Lisbon Story», e infatti con analoghi limiti. Può essere considerata la storia di un uomo che desidera fortemente perdersi in un mondo diverso dal suo ma non ci riesce mai del tutto. La trama viene sviluppata in modo accettabile, specie se si considera che «Americana» rappresenta pur sempre l'esordio di DeLillo, ma il lettore fatica a sentirsi coinvolto realmente nel "cupio dissolvi" del protagonista, come invece accade in molte opere successive di questo gigante della letteratura statunitense.

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La recensione di IBS


"Il grande sogno non faceva concessioni alla verità dietro i simboli, alle note fra le righe, alla presenza di qualcosa di oscuro (e per certi versi ridicolo) sul bordo dello specchio della consapevolezza di qualcuno."

È il romanzo d'esordio di Don DeLillo, uscito nel 1971 negli Stati Uniti, finalmente tradotto e pubblicato anche in Italia. Già questa prima prova lo aveva segnalato come autore di grande interesse, espressione di quell'America amara di una generazione di intellettuali, che in letteratura, nel cinema, nell'arte sono la coscienza critica della società dei consumi.

Il mondo rappresentato (e da cui il protagonista fugge) è quello dell'immagine, dei media, dell'apparenza. Una New York frivola e mondana, dominata dalla noia e dal vuoto, è quella che viene splendidamente rappresentata nei capitoli iniziali. L'eleganza e la bellezza simboli di un potere che in realtà si dimostra brutale e primitivo nella sua spietatezza. L'arrivismo di alcuni, la condanna pregiudiziale ai danni di altri, la superficialità nel giudizio che diventa crudele e impietosa. Il sesso e i sentimenti come gioco e strumento per combattere la monotonia. Donne e uomini che parlano, parlano, ma non rompono la finzione dei rapporti. Protagonista è David Bell, poco più che un ragazzo, ma già pienamente inserito nei meccanismi della società newyorchese. Manager di una grande rete televisiva, considera la propria bellezza una forza e lo specchio che gliela ripropone una specie di terapia psicologica. Il pensiero positivo, oggi così di moda in Italia (ahimè quello che avveniva trent'anni prima negli Usa è ora entrato nel costume nostrano) indica appunto nell'autoincoraggiamento davanti allo specchio una forma di terapia per giungere a una maggiore autostima. Ma è troppo evidente l'inutilità, il vuoto sotteso a tutti i rapporti. Troppo angosciosa la coscienza della finzione della comunicazione televisiva che, dichiarando di rappresentare la realtà, ne propone invece solo l'aspetto più funzionale, fa da cassa di risonanza dei miti e dei simboli della società consumistica. Così l'unica via d'uscita è la fuga, l'andarsene... Ma i tempi sono cambiati e non è più un viaggio alla Faulkner quello proposto, anche se è pur sempre un cammino alla ricerca di una identità: Dave riprende con una cinepresa, attraversando gli Usa con un vecchio camper, la gente, le situazioni, le contraddizioni, in una parola la realtà, quella che la televisione ignora o che mimetizza. Si srotolano così nella narrazione storie e personaggi (un'ampia sezione del libro ripercorre in un lungo flash back anche l'infanzia e l'adolescenza del protagonista) della provincia americana e dei suoi miti. Molto di tutto ciò ricorda Nashville di Altman e i racconti minimalisti di Carver, e soprattutto preannuncia le successive opere dell'autore e i loro temi.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Don DeLillo

1936, New York

Nato e cresciuto nel Bronx, allora abitato in gran parte da italoamericani, frequenta scuole cattoliche fino agli studi universitari; l'influenza degli studi cattolici traspare in molti dei suoi scritti e principalmente in Underworld (1997).Finiti gli studi, inizia a lavorare come pubblicitario e ad interessarsi di arte e musica, particolarmente al jazz e alla scrittura. Nel 1971 pubblica il suo primo romanzo, Americana, tradotto in italiano solo nel 2000. Nel 1972 pubblica End Zone e l’anno successivo Great Jones Street (tradotto in italiano nel 1997) che narra di un artista rock ritiratosi a vivere in un ambiente spoglio.Alla fine degli anni Settanta intraprende un lungo viaggio formativo in Medio Oriente e in India, successivamente si trasferisce in Grecia dove vive per tre anni e...

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