«L’America è la versione originale della modernità, noi ne siamo la versione doppiata o sottotitolata. L’America esorcizza la questione dell’origine, non ha il culto dell’origine né il mito dell’autenticità, non ha un passato né una verità fondatrice. Non avendo conosciuto l’accumulazione primitiva del tempo, vive in una perenne attualità. Non avendo conosciuto l’accumulazione lenta e secolare del principio di verità, vive nella simulazione perpetua, nella perenne attualità dei segni. Essa non ha un territorio ancestrale; quello degli indiani è oggi circoscritto entro i limiti delle riserve che sono l’equivalente dei musei dove sono stipati i Rembrandt e i Renoir. Ma tutto questo non ha importanza – l’America non ha problemi di identità. La potenza futura è riservata ai popoli senza origine, senza autenticità, e che sapranno sfruttare sino in fondo questa situazione. […] Gli Stati Uniti sono l’utopia realizzata. Non bisogna valutare la loro crisi allo stesso modo della nostra, quella dei vecchi paesi europei. La nostra è crisi di ideali storici posti di fronte a una realizzazione impossibile. La loro è crisi dell’utopia realizzata in relazione alla sua durata e alla sua permanenza. La convinzione idillica degli americani di essere il centro del mondo, la potenza suprema e il modello assoluto, non è falsa. E non si fonda tanto sulle risorse, le tecnologie e le armi, quanto sul presupposto miracoloso di un’utopia incarnata, di una società che, con un candore che può apparire insopportabile, si regge sull’idea di essere la realizzazione di tutto ciò che gli altri hanno sognato – giustizia, abbondanza, diritto, ricchezza, libertà: essa lo sa, ci crede, e finiscono per crederci anche gli altri. Nella crisi attuale dei valori, tutti finiscono col rivolgersi verso quella cultura che ha osato, con un atto di forza teatrale, materializzarli senza indugio, verso quella cultura che, grazie alla rottura geografica e mentale dell’emigrazione, ha potuto pensare di creare da tutti i singoli elementi un mondo ideale – e non si sottovaluti la consacrazione fantasmatica di tutto ciò da parte del cinema. Qualunque cosa accada, qualunque cosa si pensi sull’arroganza del dollaro o delle multinazionali, questa cultura affascina in tutto il pianeta persino coloro che ne sono vittime, in quanto nutrono l’intima e delirante convinzione che essa abbia materializzato tutti i loro sogni».
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