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Anno edizione: 2022
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«"Amen" è un inno alla resistenza, in cui Recalcati rischia tutte le sue fiches sull'amore, vero motore dell'esistenza, esorcizzando il tema-tabù della morte.» – Valter Malosti, TuttoLibri - La Stampa
Un'esistenza sul confine tra la vita e la morte, tra battesimo ed estrema unzione. La nuda fede di una madre verso il battito del cuore del figlio. Un vecchio soldato, sopravvissuto alla guerra, insegna la forza del passo nella neve. Sullo sfondo i ricordi di una vita e la presenza incombente della fine. Una preghiera nel nome della vita che non vuole morire. Amen è il primo testo teatrale di Massimo Recalcati.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Con Amen, Massimo Recalcati scrive le pagine più struggenti della letteratura degli ultimi anni. Con Amen, Massimo Recalcati si avvicina allo splendore della letteratura italiana del Novecento.
È un capolavoro, dal punto di vista dei contenuti e della forma!!!
È la morte la protagonista assoluta di questo atto unico. Sul palcoscenico, all’interno di una scenografia dimessa, si muovono tre personaggi: un uomo maturo (Enne 2), un soldato e una madre. Al protagonista, alla sua riflessione sconsolata e a tratti rabbiosa, spetta il compito di coordinare ieri oggi e domani, a partire dalla propria nascita tribolata, così come viene raccontata dalla madre, poi da un passato che assume la voce di chi ha combattuto in guerra, per immaginare un futuro di decadenza fisica e mentale, fino all’inevitabile esito della scomparsa dal mondo dei vivi. Enne 2 esprime il suo tormento filosofico nei riguardi del significato dell’esistenza, e soprattutto della sua conclusione: “dopo” risulta il termine più carico di spessore emotivo, nell’inquieto interrogarsi metafisico sul nulla e sul buio che attende ogni vivente: “Ma si potrà «dopo» ancora bere? mangiare? respirare? camminare? Avremo ancora «dopo» occhi, gambe, mani, orecchie, capelli, piedi? Potremo ancora «dopo» ridere? respirare? parlare?”. Il destino ingiusto e crudele di essere destinati a sparire in quanto creature, viene stigmatizzato in un elenco rabbrividente di sostantivi e attributi che descrivono i corpi quando perdono ogni funzione vitale: “finiti, sfiniti, spenti, scomparsi, ridotti a marmi freddi, al silenzio totale”, “segatura, sabbia, cenere, polvere…”, “resti putridi, avanzi, scarti, sabbia, detriti…”. Al lamento funebre dell’uomo rispondono la madre (rievocando il suo parto difficile, da cui lui è nato prematuro, “gattino indifeso”, lottando per rimanere aggrappato alla vita) e un giovane alpino, che ricorda il ritmo cadenzato dei passi di soldati in colonna sulla neve, il sacrificio di tanti ventenni caduti senza poter godere della loro giovinezza, Dal vagito del neonato all’Amen finale, tutto il testo risulta un drammatico de profundis che implora salvezza e pietà, e grida la sua ribellione per la caducità dell’esistere.
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