Ritorna la russofobia di Marx, ma accostata al suo parziale capovolgimento. Ritorna grazie a Cinnella, eccellente studioso delle molte Russie che hanno attraversato gli ultimi secoli : la zarista, l'agraria, la rivoluzionaria del 1905, la bolscevico-comunista e infine l'odierna, post-comunista sì, ma solo in parte desovietizzata. Cinnella comincia con l'ostilità liberale del primo Ottocento, condivisa da Marx ed Engels, nei confronti del gendarme d'Europa. Ancora nel 1867, del resto, Marx sostenne che i polacchi, con il loro patriottismo, erano venti milioni di eroi tra l'Europa e l'Asia. Fu tuttavia il panslavismo, assoggettato dalla "barbarie russo-mongola", il principale oggetto polemico, tanto che Engels, nel 1849, sulla "Neue Rheinische Zeitung", ebbe a scrivere, con accenti sciovinistici, che "l'odio per i russi è stato ed è ancora presso i tedeschi la prima passione rivoluzionaria", passione paragonabile all'azione degli "energici yankees" volti alla conquista della California contro il Messico e "i pigri messicani". Né vengono da Cinnella dimenticate le Rivelazioni sulla storia diplomatica segreta del XVIII secolo, testo scritto da Marx tra il 1856 e il 1857 per l'inglese "Free Press" del conservatore e filoturco David Urquhart. Questo testo, radicalmente russofobo, non venne pubblicato nell'Urss staliniana e post-staliniana. Venne anzi, insieme ad altri scritti, ufficialmente proibito: occorreva impedire l'ultimo moto sovversivo del red terror doctor, ossia la disinfestazione del sistema che si era impadronito del suo nome. Cinnella bene inserisce le Rivelazioni nell'evoluzione del pensiero di Marx. Non considera però il periodo storico e il contesto politico in cui si situano. Vennero infatti scritte alla fine della guerra di Crimea, una guerra perifericamente inchiodata a Sebastopoli e non condotta dai francesi e soprattutto dagli inglesi con le avanzate militari necessarie per abbattere il dispotismo zarista. Le Rivelazioni furono così antibritanniche non meno che russofobe. Marx, del resto, sempre si avvalse di prese di posizione cangianti e condizionate dai processi storici e dal consolidarsi della storia-mondo. Il suo pensiero mutò così nel corso del tempo. Per questo nel 1882 Marx affermò di non essere "marxista". Il "marxismo" non esisteva. Affiancato alla russofobia, sempre presente nei giudizi sulla politica internazionale, era peraltro emerso negli anni settanta l'interesse di Marx per il comunitarismo rurale. Sino ad arrivare al rapporto con personalità come Daniel'son e Kovalevskij. Al centro vi fu poi il carteggio tra Marx e la rivoluzionaria Vera Zasulic, cui Cinnella dedica pagine illuminanti quanto quelle sulla fortuna del Capitale in lingua russa, la prima in cui venne tradotto. Per alcuni, come il liberale Pëtr Struve, il Capitale fu in Russia il libro dei borghesi. Marx, dal canto suo, sostenne che il suo testo più celebrenon era stato né pro né contro la comune rurale alternativa alla via capitalistica. Non finì però i volumi del Capitale. Si appassionò invece all'etnologia di Lewis Morgan, cui dedicò sunti straordinari. Non vi era insomma un solo percorso. La storia-mondo era un'entità plurale, così come plurale doveva essere l'emancipazione. Questo fu l'ultimo Marx, a sua volta non autoreferenziale. E se non era mai stato "marxista", non divenne certo nemmeno narodnik (populista). Bruno Bongiovanni
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