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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
Finalista Premio Napoli 2020, sezione Narrativa - Finalista al Premio Strega 2020 - Finalista al premio Lattes Grinzane 2020 - Finalista al Premio Asti d'Appello 2020
Questo romanzo limpido e intenso forse è una piccola storia d'amore, forse una grande lezione sulla possibilità di non fermarsi. Di espiare, dimenticare, ricominciare. «Vederli andare via è la cosa piú difficile, perché: dove andranno. Sono ancora cosí piccoli, e torneranno da dove sono venuti, e dove sono venuti è il motivo per cui stanno qui».
«Penso che Almarina si possa definire letteratura civile ma non ne sono sicuro; e quando non si è sicuri, vuol dire che nel caso in questione la parola "letteratura" è più grande della parola "civile" - che è l'unica letteratura civile degna di questo nome» - Francesco Piccolo, La Lettura
«Tutto ciò che scegliamo si rivelerà sbagliato se saremo tristi, e giusto se saremo felici».
Può una prigione rendere libero chi vi entra? Elisabetta insegna matematica nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina la sbarra si alza, la borsa finisce in un armadietto chiuso a chiave insieme a tutti i pensieri e inizia un tempo sospeso, un'isola nell'isola dove le colpe possono finalmente sciogliersi e sparire. Almarina è un'allieva nuova, ce la mette tutta ma i conti non le tornano: in quell'aula, se alzi gli occhi vedi l'orizzonte ma dalla porta non ti lasciano uscire. La libertà di due solitudini raccontata da una voce calda, intima, politica, capace di schiudere la testa e il cuore. Esiste un'isola nel Mediterraneo dove i ragazzi non scendono mai a mare. Ormeggiata come un vascello, Nisida è un carcere sull'acqua, ed è lí che Elisabetta Maiorano insegna matematica a un gruppo di giovani detenuti. Ha cinquant'anni, vive sola, e ogni giorno una guardia le apre il cancello chiudendo Napoli alle spalle: in quella piccola aula senza sbarre lei prova a imbastire il futuro. Ma in classe un giorno arriva Almarina, allora la luce cambia e illumina un nuovo orizzonte. Il labirinto inestricabile della burocrazia, i lutti inaspettati, le notti insonni, rivelano l'altra loro possibilità: essere un punto di partenza. Nella speranza che un giorno, quando questi ragazzi avranno scontato la loro pena, ci siano nuove pagine da riempire, bianche «come il bucato steso alle terrazze».
Proposto per il Premio Strega 2020 da Nicola Lagioia: «Nella storia del rapporto, in un carcere minorile, tra una professoressa di matematica e la sua nuova allieva si nasconde una vicenda che ci riguarda tutti. Quanto siamo disposti a metterci in gioco davanti agli altri? Il dolore ci accomuna, la paura trae costantemente il peggio da noi, il senso del dovere può diventare una scusa per andare sempre in giro con la guardia alta. Fino a quando la vita non ci obbliga a scegliere. Almarina racconta tutto questo con un'intensità e una misura ammirevoli, e una forza linguistica rara, segnando una tappa importante nella letteratura italiana di questi anni.»
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Leggerò qualche altra storia di questa scrittrice, perché a tratti (pochi per la verità) ho ritrovato la poeticità e la lirica intensa e penetrante di Erri De Luca, non a caso suo conterraneo e, mi immagino, ispiratore. Ma dove lui raggiunge l'anima con poche parole e qualche immagine nitida ed essenziale, lei annacqua la prosa slegandola con una (non) punteggiatura che ne rende faticosa la lettura. Peccato. Rimangono paragrafi indimenticabili, però, come quello sull'esistenza di Dio e l'astronomo Humason...
E molto interessante lo consiglio vivamente
Libro stupendo. Super consigliato
Recensioni
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C’è una specie di stortura quando ci si ritrova a leggere di qualcosa di estremamente lontano da noi: qualcosa che sappiamo esistere ma che non riconosciamo perché è sempre stata nascosta, invisibile alla nostra esperienza quotidiana. Poi questa cosa ci viene spiattellata in faccia – in un romanzo, in tal caso – e la stortura si percepisce forte. Perché ne sentiamo parlare, o anche, perché ne sentiamo parlare solo adesso, e per di più in modo così delicato e naturale, come fosse una cosa sempre esistita? La risposta è semplice: perché è sempre esistita.
Sentir parlare di detenzione minorile, su di me, ha fatto questo effetto. Nisida è a poco più di un’ora di macchina da casa mia (vivo nella stessa città che è stata anche la città della gioventù della Parrella), eppure il mio pensiero non vola mai verso quella parte del mare. Vado a Napoli e quello che vedo è la maestosità della città e della sua capacità di essere una donna bella e deturpata, ma non penso mai a Nisida. Non credo ci sia qualcuno che, pensando a Napoli, pensi a Nisida in prima istanza. Forse solo chi ha lasciato un pezzo di sè lì dentro, o chi ha ancora qualcosa a che spartire con quel luogo non-luogo.
La Parrella ci mette davanti all’evidenza che, però, Nisida è un posto dove vivono ragazzi, dove ci sono esseri umani in divenire e che – come tutti – respirano e pensano. Elisabetta Maiorano è la testimone che ci mette davanti alle vite di questi altri: quei ragazzi che non vengono mai in mente, ma che ci sono: delinquono fuori dal carcere e poi scompaiono, non sappiamo che fine fanno. Vanno a Nisida, o qualsiasi altra Nisida nel mondo.
Elisabetta Maiorano è una donna con una tragedia alle spalle che non sembra aver ancora del tutto perdonato, non ha abbandonato quel cordone ombelicale che la lega al passato. E così, cercando di sopravvivere allo sbalzo emotivo enorme che le causa il suo lavoro di maestra, cerca di fare della sua quotidianità un simbolo di ciò che è stato.
In questo romanzo, il quotidiano è la chiave interpretativa di una vita intera: attraverso gesti ricorrenti, degli orecchini in oro, un letto a due piazze e le porte del bagno sempre aperte, Elisabetta Maiorano ripercorre il suo dolore e gli conferisce dignità, grazie alla ricorsività degli eventi e alla sua incapacità di lasciare andare il dolore e far restare solo l’amore.
Almarina è una degli “altri”, una di quelle ragazze distrutte ancor prima di poter diventare donne: ha sofferto, e probabilmente soffrirà per sempre. Ma nella sua sofferenza, Elisabetta trova una somiglianza con quella ragazza interrotta, e se ne fa carico. La sua voglia di maternità, anch’essa interrotta ancor che fosse tempo, rifiorisce in questo legame così estemporaneo e forte.
Questo romanzo porta con sè non solo una bellezza estetica della parola scritta, ma anche un carico emotivo quasi palpabile: sembra di poter sentire il dolore e la speranza, di poter toccare il desiderio di maternità di Elisabetta e la purezza di Almarina. Il romanzo riesce a far capire come la maternità non si identifichi con una gravidanza e neanche con l’età anagrafica, nè con i legami di sangue: una mamma è mamma perchè sceglie l’amore, così come un padre è tale perchè sceglie l’amore.
Più di tutto, penso che questo romanzo mi abbia fatto sentire fortunata. Ripercorrendo il romanzo, ho avuto come l’istinto di fare un bilancio generale dei miei legami, delle mie fortune e delle mie sfortune. E sono arrivata alla conclusione che, probabilmente, affacciare lo sguardo verso Nisida non solo mi ha fatto ricordare che ci sono “altri” oltre le persone che vedo e che amo, ma che – dopotutto – nell’esistenza è importante solo l’amore, il resto è un accessorio di lusso.
Clelia Attanasio
I vincitori del concorso "Caccia allo Strega" 2020
Alessandra Annunzi – Recensione stregata scelta da Valeria Parrella
“Mi chiamo Elisabetta Maiorano, e non è che me lo stia chiedendo qualcuno: sono io che me lo ripeto in testa…”. L’insegnante di matematica del carcere minorile di Nisida è una cinquantenne rimasta sola dopo aver perso il marito dal quale non era riuscita ad avere figli. Compie ogni giorno il rito di passaggio tra il dentro e il fuori di un mondo chiuso, con le sue regole, i suoi personaggi, i suoi ritmi: un’isola, una zattera su cui sono stati stipati i ragazzi che la città ha respinto. Elisabetta è il pontile, la gomena che tiene la realtà del carcere legata a Napoli e alla società, che contamina i due spazi chiusi; è un Caronte umano, che traghetta la giovanissima detenuta Almarina in un percorso al contrario, dalla pena alla vita. Valeria Parrella racconta Elisabetta, la sua mezza età solitaria, l’umanissima elaborazione del lutto, senza niente di eroico, senza atti di coraggio, il superamento del torpore emotivo, l’attrazione per il capitano, l’amore per Almarina. Allo stile diretto e pulito di Valeria Parrella bastano meno di cento pagine per dire tutto questo, perché quando il lessico è sicuro ogni parola richiama un intero grappolo di concetti, una realtà precisa e inconfondibile. In copertina al centro di un mare azzurro, come l’isola di Nisida, galleggia una donna con un abito fucsia: è Elisabetta? è Almarina che da lei lo ha ricevuto in dono? sono entrambe, contemporaneamente l’immagine ciascuna della propria solitudine, ma anche di un’empatia, di una solitudine che aspetta di incontrarne un’altra per cominciare una vita non nuova, ma diversa. COPERTINA: 4, STORIA: 4, STILE: 4
Melina
Almarina è una naufraga che sta là in mezzo al mare, nel carcere minorile di Nisida dove incontra un’altra naufraga, una vedova alla deriva che nel carcere insegna: Elisabetta Maiorano dissolta nel suo grigiore e attaccata alla vita solo dalla materia che insegna. Si prendono per mano, anzi si prendono per sguardi in questo che è un racconto lungo più che un romanzo. È questo contatto a infondere speranza nella professoressa, a lenire il dolore della perdita del marito, della mancata maternità senza aspettarsi grandi cose e altrettanto avviene per Almarina che assapora la gioia della normalità a casa di Elisabetta, lei che non ha vissuto nessuna infanzia, ma solo violenza. Due gusci di noce in balia delle onde della sofferenza che trovano la cifra giusta per farsi coraggio a vicenda nel mare di dolore che le accomuna. Elisabetta insegna ai ragazzi che hanno già visto cose che tanti adulti non sono in grado di sopportare, ragazzi che apparentemente sono duri e freddi come monoliti, che hanno ristretto la loro esistenza allo sguardo, occhi che non concedono facilmente perché è il loro tallone d’Achille, la porta per arrivare alla loro anima e questo la professoressa Maiorano lo sa. Quando però succede che lo sguardo si specchia nello sguardo ecco accendersi la speranza di potersi riscattare, di poter tendere un salvagente. Lo stile di Valeria Parrella è funzionale alla storia, asciutto da ogni indugio, stringato e tagliente, supporto efficacissimo ai silenzi percepiti tra le righe, al clangore dei cancelli e chiavistelli, alla risacca o al rumoreggiare del mare. Senza questa scrittura, questa cifra stilistica, la vicenda narrata, di per sé prevedibile, non avrebbe lo stesso risalto: un magnifico castone per una pietra dura. Copertina voto 3 Storia voto 2 Stile voto 5
Antonietta Mirra
Eleonora è un’insegnante, una donna che ha perso il marito e che lavora nel carcere di Nisida. La sua vita, prima e dopo Nisida, è un insieme di colori grigi, tenui, opachi, come la sua anima, perduta in una quotidianità quasi priva di significato dopo la morte di Antonio. Eleonora vive ma non ci convince. Quella quotidianità iniziale, quei gesti così banali, comuni, ripetuti, di cui abbiamo letto nelle prime pagine del libro, e che ci davano l’illusione che tutto sommato la protagonista avesse una vita felice, all’improvviso mostrano il loro vero volto, la cruda verità. Eleonora non indossa una maschera. Eleonora è quella maschera, perché ha smesso di guardarsi allo specchio, stanca di vedere i suoi fallimenti, i suoi vuoti, le sue voragini. Tutto quello che è e che fa, è solo il risultato di un meccanismo che le ha ispessito l’anima, privandola della sua luce. Eleonora non brilla. Non brilla più. Fino a quando non vede Almarina. Una giovanissima romena rinchiusa nel carcere di Nisida. Una ragazzina che ha subito sfavori e dolori dalla vita, maltrattata e abusata, in fuga dal proprio paese per venire in Italia. Il loro rapporto non è fatto solo di insegnamenti perché Eleonora non riesce a non andare oltre, a non vedere dietro la scorza della vita, un cuore fragile, il cuore di una donna-bambina. Almarina è la figlia che Eleonora non ha mai avuto. È l’affetto, è quella solitudine che non è più abbandono, ma solidarietà, comprensione, condivisione. La penna dell’autrice è delicata ma intensa. Piena di umanità e capace di coinvolgerti così tanto da essere realmente felice, provare sulla tua pelle di lettore estraneo, la felicità di Eleonora e di Almarina, come se fosse la tua. Io lo devo dire: sono felice per loro. E spero che da qualche parte, una Eleonora e un’Almarina possano stare insieme per sempre unite da quell’amore – unico – che merita cura perché amore eterno. Copertina: 4. Storia: 5 Stile: 5.
Serespat
Almarina. È la storia di un amore. Di un amore particolare che nasce tra le mura di un carcere minorile. Anche questo singolare perché si erge in mezzo al mare, a Nisida, un'isola con le spalle a Napoli e lo sguardo rivolto a Capri. La bellezza di questo luogo sta nel fatto che la definitività delle pene che qui vengono scontante non lo rende un punto di arrivo, ma semplicemente un luogo di passaggio, di transito per poi ricollocarsi nel mondo. Perciò non hanno importanza i crimini commessi dai detenuti, ma i sogni che i ragazzi sperano di realizzare una volta riacquistata la libertà. Sogni che li rendono uguali a tutti i giovani della loro età. Che creano un ponte sulla striscia di mare che li separa dalla vita. Almarina è anche la storia del difficile equilibrio (di antigoniana memoria) tra il sentimento e il dovere sociale, tra ciò che desideriamo di fare e ciò che la legge ci impone di fare. "L'amore non riconosce autorità" confessa, quasi sotto voce, al lettore la protagonista. Questa tensione però, a mio avviso, non è lasciata irrisolta, al contrario la matassa si dipana con l'approdo ad un'importante verità: “che è falso ciò a cui abbiamo sempre creduto, ossia che si diventa professori, o condannati, o artisti, o giudici perché siamo diversi dentro; perché, invece, è proprio lì dentro che siamo uguali.” Il tutto condito con l'enorme bravura di una scrittrice che sa sperimentare con il linguaggio, attribuendo alla forma un ruolo centrale nella narrazione. Insomma un libro che il premio Strega lo merita tutto. Copertina:5 Storia:4 Stile:5
Ilenia
“Leggenda vuole che Posillipo, il ragazzo più corteggiato del quartiere si innamorò senza essere ricambiato di Nisida, tanto bella quanto malvagia. Dopo mesi di amore non corrisposto e per mettere fine alle sue pene d’amore Posillipo decise di gettarsi in mare. Il Fato non potendo accettare quella fine crudele decise di intervenire trasformando Posillipo in un promontorio nel golfo di Napoli e punì Nisida trasformandola in una piccola isola che giace proprio di fronte Posillipo: non vi siete amati in vita, ma starete uno di fronte all’altro in eterno.” Nisida ora è un carcere minorile,dove i ragazzi non possono scendere al mare, ed è proprio qui che Elisabetta Maiorano insegna matematica. “Almarina” è un libro diverso rispetto agli altri ,ci parla di qualcosa molto vicino a noi ma allo stesso tempo immaginario, e Maiorano, in pochissime pagine, riesce a narrare la sua vita grigia, i suoi sentimenti e le speranze future. Almarina è una ragazza romena di sedici anni arrivata a Nisida per scontare la sua pena, e quando Elisabetta la incontra capisce che hanno tantissime cose in comune. Entrambe sono forti, coraggiose , hanno alle spalle una solitudine entrambe sono orfane e sole . Elisabetta ha perso il marito e vive la delusione di non poter diventare madre; Almarina, invece, è scappata da una vita di abusi e violenza, oltre a essere stata costretta a separarsi dal fratello; due vite che si rialzano e si reinventano, anche se a tentoni, insieme. il romanzo è molto bello ed innovativo, è molto originale ,non è un libro come altri. I personaggi sono molto caratterizzanti, anche se non ha un vero e proprio finale, non finisce in un certo senso. È un libro che lascia con il fiato sospeso, sembra quasi che l’autrice ci lasci libera scelta, ognuno può scegliere e immaginare cosa potrà succedere. lo stile è asciutto, semplice, la narrazione è densa e molto sorprendente. COPERTINA:5 STORIA:5 STILE:5
“Almarina” edito da Rizzoli è il solo romanzo scritto da una donna nella sestina dei finalisti del Premio Strega 2020. Valeria Parrella, scrittrice ed autrice anche teatrale, ci conduce con l’abile maestria di un flusso di coscienza magistralmente gestito, all’interno della vita di Elisabetta Maiorano. Elisabetta è una donna comune, una delle migliaia di persone che attraversano ogni giorno la caotica e contradditoria Napoli, per recarsi a lavoro. Una donna comune, con un impiego comune: Elisabetta è insegnante di matematica. Lo straordinario nella sua vita è proprio il luogo in cui esercita la professione: il carcere minorile di Nisida. In questo luogo in cui la libertà viene negata, Elisabetta, imprigionata nella propria vita fatta di perdite (l’aborto in giovane età, l’improvvisa morte del marito, la perdita di senso di una quotidianità di coppia che non è più tale) si sente libera. La prigione è dentro di lei, la prigione è la sua vita fuori da Nisida. Tra le mura del carcere, nella sicura routine dei controlli e delle firme, Elisabetta si sente al sicuro: dentro Nisida sa di esistere, fuori ci sono attacchi d’ansia, notti insonni e un letto ormai freddo e vuoto.
Queste certezze si sgretolano quando Elisabetta Maiorano incontra l’altro da sé, il diverso, la sofferenza di una violenza subita che può essere camuffata ma mai dimenticata: Almarina. La ragazza, scappata dalla Romania per salvarsi dalle violenze e dagli stupri a cui il padre la sottopone e per salvare il fratello minore, incontra una donna apparentemente diversa da lei ma più simile di quanto non creda. Il legame insegnante- alunno a Nisida è diverso per forza di cose: Nisida non è la scuola, ma la scuola dentro Nisida è quanto di più simile ad una parvenza di normalità che questi ragazzi possano avere. Elisabetta Maiorano andrà oltre il proprio ruolo con Almarina e si scontrerà per questo con muri burocratici, barriere sociali e politiche. Per Almarina imparare la matematica significa reimparare a vivere, trovare una seconda chance, con la sicurezza che solo i numeri possono dare, in una società che non tratta i propri figli secondo quei principi di uguaglianza che troviamo scritti ormai in tutte le Costituzioni e nella Carta dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Allo stesso tempo, Elisabetta Maiorano, salvando Almarina da un destino che è stato già scritto per lei da altri, tenta di salvare se stessa.
Valeria Parrella pone di nuovo l’accento sulle nostre responsabilità individuali, sulla bontà delle nostre azioni e dei nostri atti altruistici.
Durante la lettura di questo romanzo, che ho apprezzato per lo stile e la profondità dei contenuti trattati, ho pensato spesso a ciò che Levi scrisse nel romanzo “I sommersi e i salvati”: pare che la scrittrice abbai intercettato i movimenti delle protagoniste principali in quella che Levi chiama la “zona grigia” “[…] dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi. Possiede una struttura interna incredibilmente complicata, e alberga in sé quanto basta per confondere il nostro potere di giudicare […]”.
In una società che genera i propri “mostri” ci si salva solo nel riconoscimento della sofferenza e della difficoltà altrui, come sottintende la Parella, come diceva John Donne “no man is an island”.
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