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recensione di Bertini, M., L'Indice 1994, n. 3
Quando, nel 1983, arrivò in libreria il primo volume di questa "Ricerca" dei Meridiani mondadoriani, giunta ora alla sua conclusione, non esisteva ancora, n‚ in Francia n‚ altrove, alcuna edizione commentata del capolavoro di Proust. Il lavoro intrapreso dai due commentatori, Daria Galateria e Alberto Beretta Anguissola, si affermò subito, nella sua ricchezza, come uno strumento senza precedenti: dietro il testo che parecchie generazioni di lettori credevano di conoscere emergeva, imprevisto, un altro testo fitto e rivelatore di segnali e di crittogrammi, di citazioni più o meno deformate e di scelte onomastiche significative, di riferimenti sotterranei e di segrete allusioni. Benché nel corso dei dieci anni successivi siano apparse in Francia ben tre pregevoli edizioni commentate della "Recherche" (una nella Pléiade, insostituibile per l'apparato di varianti e di abbozzi, una nei Bouquins Laffont e una da Flammarion) nessun lavoro di annotazione ha finora superato, quanto a molteplicità di prospettive, finezza critica e vastità di riferimenti storici, il commento messo a punto da Beretta Anguissola e Galateria, commento a cui hanno spesso attinto - ben più di quanto abbiano esplicitamente dichiarato - i curatori d'Oltralpe, in particolare quelli della Pléiade. In questo quarto volume, Alberto Beretta Anguissola ha introdotto e commentato "Albertine scomparsa", mentre Daria Galateria ha dedicato le sue cure al "Tempo ritrovato".
Nel commento di Beretta Anguissola occupa uno spazio privilegiato l'episodio del soggiorno che il narratore fa a Venezia con la madre, dopo la morte di Albertine. Al centro, si colloca la contemplazione, da parte del protagonista, del mosaico che nel battistero di San Marco raffigura il Battesimo del Cristo; evocata in una suggestiva pagina di Ruskin, che molto opportunamente Beretta Anguissola riproduce, quest'opera d'arte diventa una metafora della riconciliazione del narratore con se stesso, premessa necessaria della sua futura vocazione artistica. Altri innumerevoli rimandi iconografici conducono Beretta Anguissola a ipotesi affascinanti; ne è un bellissimo esempio, tra i molti, la possibile derivazione dell'enigmatica aquila stilizzata che figura sull'anello di Albertine dalle icone conservate a San Giorgio dei Greci. Il commento di Daria Galateria opera una netta bipartizione all'interno del "Tempo ritrovato"; se la prima parte quella che mette in scena il soggiorno del narratore a Tansonville e i sinistri piaceri di Charlus durante la guerra, è foltissima di rimandi letterari, la seconda, che narra l'accesso del narratore alla salvezza dell'arte, ne è quasi priva. Ora, i rimandi presenti nella prima parte si riallacciano tutti, nota Galateria, a un genere preciso, molto ben radicato nella realtà storica: la memorialistica. L'assenza di rimandi nella seconda parte sarà dunque una sorta di orgogliosa affermazione d'autonomia dell'opera d'arte nei con fronti della storia e del tempo, da cui il romanzo si pone risolutamente fuori. In margine a questo discorso di carattere generale, Galateria ha raggiunto esiti molto convincenti nell'additare le sottili deformazioni che l'estetica proustiana della crudeltà impone a testi tradizionalmente considerati per l'infanzia, come la fiaba di Aladino o le favole di La Fontaine. Ognuno dei commentatori di questa edizione ha impresso al suo lavoro un segno molto personale: Beretta Anguissola mostrandosi ironico e tagliente nei confronti dell'agiografia proustiana, Galateria formulando le sue osservazioni nello stile limpido ed elegante che le è proprio. Entrambi però, in sintonia perfetta, hanno affrontato con pari equilibrio quel rapporto opera - biografia che nelle ultime parti della "Recherche" si fa spesso inestricabile. Si avverte, nell'attenzione che dedicano a questo problema, la lezione di Giovanni Macchia, presente ancor più direttamente nel saggio introduttivo di "Albertine scomparsa". In questo saggio Beretta Anguissola si è trovato ad affrontare un problema che è stato oggetto di un'infinita querelle: quello della cosiddetta "versione breve" di "Albertina scomparsa". Tale versione entra in scena nel 1987: una pronipote di Proust, Nathalie Mauriac, ritrova allora un dattiloscritto del penultimo romanzo della "Recherche" su cui lo scrittore, alla vigilia della morte, ha operato immensi tagli. L'adozione (sostenuta da alcuni) di questo dattiloscritto come testo autentico e definitivo di "Albertine scomparsa" ci priverebbe di alcune delle migliori pagine mai scritte da Proust e renderebbe inintelliggibili, in nome della filologia, i successivi sviluppi della narrazione. Impossibile, d'altronde, ignorare del tutto una stesura autentica, che riflette una precisa volontà dello scrittore. Beretta Anguissola ha fatto molto puntigliosamente i conti con i problemi sollevati da questa "versione breve", ed è giunto a conclusioni concordi con quelle avanzate altrove da Macchia: il dattiloscritto drasticamente ridotto va collegato a quel "romanzo di Albertine" che Proust andava pubblicando, per racimolare qualche guadagno supplementare, sulla rivista "les Oeuvres Libres", e che era una sorta di mosaico di estratti dalla "Recherche". Non c'è dunque ragione di adeguare alla "versione breve" il testo finale della "Recherche", come ha recentemente fatto in Francia, soggiacendo al malefico influsso della pronipote - filologa, la popolare collana dei "Livres de poche".
La traduzione di Giovanni Raboni, dal primo volume a quest'ultimo, è andata facendosi costantemente più precisa e aderente al testo; qualche imperfezione si può forse ravvisare soltanto nella resa del parlato, laddove ad esempio la folla inferocita grida un po' troppo forbitamente a un politico corrotto: "assegnaiolo!" ('chéquardp' p. 641). Ma nell'insieme siamo di fronte a un lavoro di correttezza esemplare, che ha certamente tratto vantaggio anche dall'operato di una redazione di primissimo ordine, in cui spiccano persone della competenza di Marco Beck e Gabriella Mezzanotte. Impossibile considerare con la dovuta ammirazione il lavoro di questa appassionata ed efficientissima équipe senza ricordare colui che ne fu l'ideatore, Luciano De Maria, scomparso nel 1993, alla vigilia del compimento di quest'opera da lui progettata e diretta con tanta intelligenza e dedizione. L'introduzione generale da lui premessa nel 1987 all'edizione Oscar della traduzione di Raboni resta una delle più efficaci presentazioni sintetiche della "Recherche" esistenti in italiano; le è sottesa una lettura di Proust nutrita di stimoli adorniani, antidoto eccellente per i danni di quel filologismo ottuso che giustamente Beretta Anguissola castiga.
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