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Alfabeto Poli di Luca Scarlini, di cui già avevo letto L’uccello del Paradiso dedicato alla figura di Mario Mieli, è a suo modo interessante, per l’idea narrativa di ripercorrere la vita di Paolo Poli con vocaboli che ripercorrono le lettere dell’alfabeto. Ne esce un ritratto intimo, sempre sopra le righe, ma che comunque rimane sempre un po’ frammentato, e questo forse è il limite che avevo percepito anche nella sua altra opera, più con uno stile tesi di laurea che una biografia esaustivamente articolata. «Mi ispiro sempre alla letteratura per i miei spettacoli: il romanzo si dipana nell’analisi, mentre il teatro di raggruma nella sintesi. E poi trasferire i libri a teatro è un’operazione deliziosamente contro natura. Sono sempre stato fidanzato con i libri, perché l’amore passa ma l’arte rimane; sono uno dell’era cartacea. Non sono andato a scuola fino alla terza elementare, mia madre era maestra e si occupava di darmi i primi rudimenti, papà era carabiniere: poverissimi, avevano riempito la casa di libri. La befana portava un maglioncino, tre mandarini e un paio di calzini, ma i libri non mancavano mai. Leggevo di tutto. La mia mamma, invece di comprarmi giocattoli, ci comprava i libri della Utet, per cui attraverso le riduzioni di Mary Tibaldi Chiesa. Guerra e Pace era un libro piccino, e non c’era la parte su Napoleone, che era il modello del Duce e non se ne poteva dire male. Durante la guerra, quando ero sfollato, andavo dal prete, il quale aveva in biblioteca tutto Salvaneschi, libri orrendi scritti da un cieco. Leggo inoltre la collana per signorine, Delly. E la primula rossa, Via col vento, La grande pioggia: romanzi reazionari che mangiavo come il pane».
Ricavato da interviste radiofoniche, televisive e giornalistiche rilasciate dall’Artista in una finestra temporale di cinquant’anni, è un florilegio di motteggi conditi da dotte citazioni, diversi dei quali sono sberleffi irriverenti e provocatori, nessuno di essi mesto o zuccheroso, qualcuno venato da nostalgia nel rievocare personaggi della cultura presenti o passati. Sono tutti stralci che offrono l’immagine di un Paolo Poli colto, spiritoso e autoironico, dissacrante, iconoclasta, decisamente anticonformista. Lettura piacevole e divertente.
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