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Con questo bellissimo libro Paolo Caccia Dominioni ci trasporta direttamente tra la sabbie del deserto egiziano, proprio in mezzo ai combattimenti che videro protagonisti i Nostri battaglioni ad El Alamein. Come spettatori invisibili proiettati al centro di quelle aspre vicende possiamo immaginare quanto i Nostri con tutte le difficoltà e i limiti di mezzi e uomini seppero tenere alto il nome dell'Italia, dimostrando straordinario coraggio e valore. Encomiabile infine il lungo, pericoloso e difficoltoso lavoro di recupero delle salme svolto da Dominioni e Chiodini tra le mine e senza praticamente aiuti esterni concreti. La costruzione del Sacrario a Quota 33. La lettera inviata da Dominioni a Montgomery. Lavoro sublime. Un libro da leggere per riflettere.
E’ un libro straordinario, scritto molto bene da chi ha vissuto in prima persona questi avvenimenti. E’ un racconto pulito, incalzante, senza voli pindarici, che va diretto agli eventi e li narra con grande passione. C’è un punto che forse pochi hanno notato, ma che è divenuto di estrema attualità con la pubblicazione, nel 2016, di un libro sul Pervitin, la droga che ha alimentato l’intero esercito nazista, per non parlare di quel super-drogato che era divenuto Hitler stesso. La metamfetamina, che scorreva a fiume nell’intero esercito nazista a mano a mano che la guerra progrediva, e che forse è stata in parte responsabile delle atrocità dell’esercito tedesco, non-eguagliate da alcun altro esercito sullo scacchiere della Seconda guerra Mondiale, avrebbe potuto portare alla vittoria i tedeschi, non fosse stato per l’enorme superiorità di mezzi e e uomini delle truppe alleate. Se così fosse stato, la guerra sarebbe stata vinta da un esercito di drogati! Ebbene, a p. 233 (del mio testo Longanesi del 1963) PCD dice: “I tedeschi avevano distribuito, prima dell’attacco, una pastiglia di simpamina per uomo”. Erano solo gli inizi, poi venne distribuita liberamente a tutti i soldati del III° Reich. Chapeau per l’acume. E’ imperdibile per la minuta descrizione, per la scrittura limpida, e per la pietas che permea la seconda parte, quando PCD e Chiodini passano anni nel deserto a recuperare i cadaveri di tutti i soldati. Sembra quasi un racconto dell’Iliade di Omero. Con un caveat: eravamo noi gli aggressori che, per una folle decisione del tronfio duce Mussolini, c’eravamo impegolati in una guerra senza senso, per di più alleandoci con la Germania. Quindi era più che giusto che fossimo duramente sconfitti.
A chi non vuole rassegnarsi all'egoismo che tiene in ostaggio il tempo presente, a chi guarda alla storia come maestra di vita, questa lettura darà conforto e linfa. Stoicismo e frustrazione, epica e assurdità, si susseguono tambureggianti in una parabola magistrale, struggente, per certi versi inquietantemente attuale. Sillavengo, "cavaliere" d'altri tempi dal dono prezioso dell'obiettività, ha fatto dell'onorare i caduti uno stile di vita, destinando pari rispetto a quelli di parte avversa. Per non dimenticare i vinti, cui tutto mancò fuorché il valore.
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Premio Bancarella 1963.
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