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Affrontare la figura e l'eredità di Adolfo Venturi significa interrogarsi su una stagione decisiva della storia dell'arte in Italia: quella della fondazione di un metodo, dell'istituzionalizzazione di una serie di pratiche, della costruzione di una nuova disciplina scientifica.
La storia dell'arte come la intendiamo oggi si è affermata tardi nel nostro paese. Se già intorno alla metà dell'Ottocento in Francia e in Germania si assiste alla costituzione di un insegnamento universitario articolato in diversi indirizzi, alla creazione di sistemi museali concepiti secondo criteri pedagogici e conservativi inediti, alla nascita di un'editoria specializzata, da noi bisognerà attendere la fine del secolo per osservare i primi segni del processo che condurrà all'affermazione di una storia dell'arte professionale, forte di un'autonomia scientifica pienamente raggiunta e capace di farsi carico efficacemente dei problemi della salvaguardia del patrimonio.
All'epoca della sua fondazione la storia dell'arte italiana ha dunque scontato gli effetti di un profondo ritardo, e tuttavia l'inizio del Novecento fa registrare vigorosi segnali di ripresa. Nel 1901 è creata a Roma, proprio per Venturi, la prima cattedra universitaria. Qualche anno più tardi, grazie all'impegno profuso dallo studioso, sarà Roma a ospitare il decimo congresso internazionale di storia dell'arte: la capitale servirà così da sede a una delle manifestazioni che più hanno contribuito al progresso della disciplina. Protagonista di una fase di profonde trasformazioni, Venturi ha giocato un ruolo di assoluto primo piano nella fondazione della nostra storia dell'arte. Gli atti del convegno che Università La Sapienza di Roma gli ha dedicato nel 2006 non si limitano a fornire una ricostruzione dettagliata delle sue molteplici attività di storico e professionista della tutela, ma si sforzano di tracciare un bilancio complessivo del progetto culturale di cui si è fatto l'interprete.
La traiettoria intellettuale e l'azione istituzionale di Venturi sono indagate in un primo gruppo di saggi. Al necessario inquadramento critico dell'opera dello studioso nel contesto politico e sociale dell'Italia postunitaria si affiancano studi più circoscritti: sono qui prese in esame le diverse tappe della creazione di un moderno sistema di protezione del patrimonio, dal riordino della Galleria Estense di Modena, che a partire dal 1878 vede Venturi impegnato in un radicale intervento di modernizzazione, alla concezione di un catalogo nazionale delle opere d'arte, strumento indispensabile per garantire un esercizio capillare della tutela, alla riflessione sulla gestione degli spazi museali, sul rapporto tra la loro organizzazione e l'evoluzione degli studi, sui criteri per l'accrescimento delle collezioni. L'opera fondamentale di Venturi, quella Storia dell'arte italiana la cui redazione lo occuperà per oltre quarant'anni, costituisce evidentemente uno snodo inaggirabile: animato dalla volontà di definire una tradizione artistica nazionale, il lavoro di Venturi forniva ai cultori della nuova disciplina una prima, monumentale ricostruzione storica del nostro patrimonio.
Lo studioso seppe inoltre dare vita a una serie di esperienze editoriali senza precedenti nel panorama italiano. Fu con Domenico Gnoli il fondatore della prima rivista di storia dell'arte di livello internazionale nel nostro paese, "L'archivio storico dell'arte" (1888), compiendo così un passo importante sulla via dello svecchiamento della cultura storiografica e dell'adeguamento agli standard dell'erudizione europea. In questo senso, fondamentale è la decisione di Venturi di sospendere la pubblicazione dell'"Archivio" a dieci anni dalla sua creazione, per fargli succedere la più moderna e scientificamente agguerrita "L'Arte". Ispirata al modello dei migliori periodici stranieri (la parigina "Gazette des Beaux-Arts" e la tedesca "Zeitschrift für bildende Kunst"), la rivista avrebbe rappresentato un punto di riferimento per gli studi sull'arte italiana non solo da noi, ma anche all'estero.
L'ascesa universitaria di Venturi e i suoi rapporti con il mondo accademico italiano sono al centro di un secondo gruppo di interventi. Gli archivi dell'autore, conservati presso la Scuola Normale di Pisa, hanno rivelato documenti capaci di portare alla luce una fase decisiva del processo di affermazione della storia dell'arte all'interno dell'università. La questione dell'eredità di Venturi è indagata nei suoi differenti aspetti: la formazione di una nuova generazione di medievisti (Pietro Toesca, Mario Salmi, Géza de Francovich, Antonio Muñoz) che negli anni tra le due guerre porterà avanti una ricognizione del patrimonio italiano guidata da una coscienza acuta delle peculiarità territoriali; il rapporto complesso con il figlio Lionello; l'avvento delle prime storiche dell'arte, allieve della scuola di perfezionamento venturiana, e l'accesso delle donne all'insegnamento superiore; infine, l'apprendistato di Roberto Longhi, argomento delicato, affrontato qui con grande intelligenza.
In una ricerca che intenda restituire l'azione e l'influenza di Venturi non poteva mancare una riflessione sui rapporti che lo studioso intrattenne con i colleghi stranieri. Venturi ebbe il merito di condurre la storia dell'arte italiana ai livelli qualitativi di quella europea coeva, e questo anche grazie a una fitta rette di contatti, di scambi scientifici, di relazioni personali. In Francia Venturi contava tra i suoi corrispondenti alcuni tra i massimi storici del Rinascimento: Eugène Müntz, Louis Courajod, Louis Dimier; ed è insieme ad Aby Warburg, Adolph Godschmidt e Henry Thode che si fece promotore del congresso internazionale di storia dell'arte di Roma (1912). Più teso e problematico il confronto con Bernard Berenson: se il celebre conoscitore non riusciva a vedere in Venturi che l'archivista, il decifratore di vecchie carte miope di fronte ai problemi della forma, il nostro, di rimando, considerava Berenson un semplice degustatore di cose d'arte e, da funzionario impegnato sul fronte della salvaguardia del patrimonio, temeva nel rivale l'autore di expertise finalizzate all'esportazione.
Se il mondo anglosassone, la Francia e i paesi di lingua tedesca costituiscono altrettanti punti cardinali nel panorama culturale che ha visto dispiegarsi l'azione di Venturi, particolarmente interessante è anche seguire lo studioso nelle sue incursioni in territori meno battuti: sono così indagati i suoi legami con lo storico finlandese Johan Jakob Tikkanen, sullo sfondo della genesi, a cavallo tra i secoli, di una storia dell'arte scientifica nelle regioni scandinave; si ricostruiscono i primi passi della nascente storiografia russa, cui Venturi ha guardato con attenzione; i suoi lavori sono inoltre ricollocati nel contesto degli studi sul medioevo, dominato, tra gli anni venti e trenta, dalle prese di posizione contrastanti di Artur Kingsley Porter, Joseph Strzygowski, Puig i Cadafalch.
Dopo aver affrontato alcune fondamentali questioni di metodo (tra cui quella cruciale del ruolo che la descrizione assume negli scritti di Venturi e del suo legame con la pratica espositiva), il volume passa in rassegna diversi ambiti storiografici che lo studioso ha contribuito a dissodare: l'opera di Arnolfo di Cambio, la storia della miniatura, gli studi sul Quattrocento, il tardomanierismo. La sezione conclusiva offre una panoramica delle tendenze e dei desiderata dell'odierna storia dell'arte in Italia.
Accanto al lavoro imprescindibile di Giacomo Agosti, questo nuovo volume venturiano approfondisce una serie di questioni capitali per lo studio della disciplina e apre nuove piste a una storia della storiografia artistica che, in questi ultimi anni, sta dando prova di un rinnovato dinamismo. Michela Passini
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