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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2019
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Come nei romanzi, l’imperativo che sembra guidare la scrittura in versi di Levi è decisamente comunicativo; ciò che preme all’autore è poter raccontare ai lettori le esperienze vissute, i sentimenti e le riflessioni che lo animano. Una sorta di lascito morale da esprimere con radicale chiarezza, con l’intendimento severo di trasmettere un monito a chi legge, senza raggiri stilistici. Il tono classicheggiante, biblico-dantesco, sospeso tra l’ironico e il perentorio, non rifugge da formule desuete, ma è sempre finalizzato a un coinvolgimento ammonitore del pubblico. Uno stile quasi profetico, dunque, con finalità didascalica riflessa anche nei contenuti. I temi ecologici risultano evidenti nell’attenzione rivolta non solo al mondo animale e vegetale spesso antropomorfizzato, ma anche nell’appello diretto all’umanità perché non persista nella distruzione dell’ambiente. L’ateo Primo Levi, pur orgogliosamente partecipe del proprio ebraismo, non crede a una divinità provvidenziale e benevola. Crede invece nell’indifferenza del cielo verso il destino degli uomini, condannati all’infelicità, inghiottiti in una notte senza riscatto che accomuna tutte le creature nella sofferenza. Si salvano i rapporti affettivi con i familiari, con i compagni di una vita, con gli amici, con l’amata moglie Lucia, cui è dedicato il libro. Il mito, la Bibbia, la storia universale, la scienza, la lotta partigiana cui Levi prese parte attivamente in gioventù sono presenti in tutta la raccolta. Ma ovviamente è la tragedia della Shoah, rivissuta nella memoria lacerata e mai più ricomposta, a risuonare come un basso continuo in questi versi, insieme al dovere morale di rendere testimonianza di quell’orrore. La voglia giovanile di tornare a “camminare liberi sotto il sole”, recuperando l’impegno di lotta contro ogni sopruso, lentamente si ammorbidisce in una più docile e rassegnata aspirazione alla pace: “Felice l’uomo che ha raggiunto il porto, / Che lascia dietro sé mari e tempeste…”
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