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Anno edizione: 2021
Anno edizione: 2021
Quèll che sa i mórt, e i n dì gnént, i sa tótt, ènch' quant t si 'd chèsa, da par tè, la nòta, pórti, finestri céusi, lòu i è lè, che t si ndè lèt, l'è tèrd, t'é smórt la luce, t si svégg, te schéur, u t vén ad chi pensir ch'i n s pò déi, lòu i è sémpra alè, i t lèz dréinta, mo i è bón, i fa féinta da no èsi.
Quel che sanno i morti, e non dicono niente, sanno tutto, anche quando sei in casa, da solo, la notte, porte, finestre chiuse, loro sono lí, che sei andato a letto, è tardi, hai spento la luce, sei sveglio, al buio, ti vengono di quei pensieri, che non si possono dire, loro sono sempre lí, ti leggono dentro, ma sono buoni, fanno finta di non esserci.
Come in tutte le sue raccolte poetiche, in Ad nòta, cioè la notte, Baldini mette in scena personaggi di paese, ma come stravolti, beckettiani. Riscatta il bozzetto di provincia con una visionarietà surreale e con un'affabulazione che provoca continui cortocircuiti mentali. Ma proprio in questo libro che sta in mezzo alla sua produzione poetica, dopo La nàiva e Furistír e prima di Ciacri e Intercity, Baldini ha collaudato quel monologo torrentizio senza pause tanto efficace nella recitazione in pubblico (di cui Baldini stesso era un campione insuperabile). Questi monologhi si strutturano in catene aperte di associazioni che sembrano deragliare all'infinito, ma che invece vengono sapientemente ricondotte al punto di partenza o culminano in una riflessione finale nella quale l'autore, quasi appartato dietro ai suoi personaggi, fa sentire la sua voce ironica e malinconica. Tutti i suoi personaggi sono dei falliti, ma con ossessioni geniali. Baldini li ama profondamente e li fa amare a tutti i suoi lettori.
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Poeta dialettale “per necessità”, come lo definì Mengaldo, Baldini utilizza la sua lingua con un fondamento più emotivo che letterario, nella volontà di riscoprire il rapporto vissuto con la comunità di appartenenza, con gli abitanti e l’ambiente naturale e urbanistico in cui essi agiscono. Santarcangelo viene raccontato coralmente, attraverso il parlato informale della gente, reso nella sua quotidianità, fatta di intercalari caratteristici, impulsi umorali, deviazioni irrazionali, formule linguistiche che hanno un carattere tra il narrativo e il teatrale, e procedono per accumulo, quasi estemporaneamente, a ruota libera. Lontani da ogni intellettualismo, i racconti in versi di Baldini sono veri e propri monologhi in cui la voce narrante si esprime con scarsa linearità, in maniera torrentizia o frammentata, ripetendo concetti, interrompendosi, inseguendo un groviglio di pensieri e sentimenti irrazionali, intessuti di spavalderia o rancore, paura o nostalgia. Chi sono, dunque, questi paesani raccontati con tanta confidente solidarietà, affettuosa sintonia, premurosa comprensione? Per lo più si tratta di individui defraudati nelle loro aspirazioni e nei loro diritti, che avendo patito umiliazioni, fallimenti e perdite, reclamano un credito dalla vita. Smarriti e sconfitti socialmente, ottengono tuttavia un risarcimento morale proprio per l’inoffensivo candore che li condanna alla marginalità. Così le loro confuse e inconcludenti requisitorie contro i costumi corrotti, le violenze e le ruberie, la ricchezza esibita, la vanità della moda, le chiacchiere giornalistiche e televisive, rivelano un’eticità ingenua e grottesca, provocando nel lettore commozione e istintiva simpatia. Gli esasperati recitativi in endecasillabi di Raffaello Baldini restituiscono oralmente nella loro malinconia e comicità surreale il policromo e appassionato carattere di un intero paese, quale oggi purtroppo va perdendosi nell’anonimato urbano, impersonale e conformista.
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