Provare a tirare il freno a mano su un attimo fuggente o su un vissuto che va ad alta velocità, può cambiare la tua esistenza più di un’intera vita vissuta nel silenzio degli affetti. Un urlo, nella valle solitaria della riflessione, fa eco alla solitudine e alla sofferenza cercando di darle un nome, perché conoscere il motivo della propria sofferenza, le dà senso e significato, rendendola più accettabile. Uniamo le nostre menti, uniamo i nostri cuori, uniamo le nostre forze alla ricerca di noi stessi e di un rapporto legato dal filo della verità e della speranza. Cerchiamo la nostra identità, dietro le tante maschere che siamo costretti ad indossare per sopravvivere in questo teatro dell’assurdo dove, come Diogene, riproviamo ogni giorno a incontrare l’uomo sommerso, annichilito e soffocato dalle catene delle sue paure. Fantasmi famelici, latori di una natura ibrida, umana e cibernetica, hanno divorato la nostra identità, la stessa che noi continuiamo, ossessivamente, a ricercare ed a rincorrere. Speranze forti volano al di là del fisico alla ricerca di un metafisico che dia senso al nostro credo con un riferimento di fede ma, i terremoti dei nostri riferimenti, generano le macerie del vuoto che assaporiamo intorno a noi e dentro di noi, facendoci perdere nel sapore del nulla ed in qualcosa che non ha nome ma che, con forte presunzione, definiamo antimateria. Un gruppo di amici si è ritrovato per dodici mensilità nell’ospitale Villa Maria Cristina, interrogandosi sul valore delle cose utili, ma anche su quelle inutili, nel rispetto dell’amicizia, della stima e di quelle antiche virtù come vecchi templari o cavalieri della tavola rotonda. Si è provato a ridare vita, non alle crociate, ma al valore della cultura, eterna Dea di speranza ed energia, che libera la coscienza dai vincoli e dai bisogni materiali, per avvicinarla ad un apparente cammino verso l’isola che non c’è… e forse anche verso Dio. Siamo ancora in cammino e, pur se non arrivati alla meta, abbiamo concluso un percorso. Dodici step, apparentemente caotici, attraverso il diaframma di una stretta consapevolezza che, partendo dal sogno e dall’inconscio biologico, sono arrivati al mistero dello Spirito Santo contemplato nelle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Personalità diverse, per formazione e cultura, si sono sfidate in un torneo nel rispetto delle regole della condivisione, non rinunciando però a scendere dal cavallo per confrontarsi anche in un corpo a corpo. Durante il viaggio, anche senza timone e bussola, ci siamo interrogati facendo delle soste nel nostro pellegrinaggio, alla scoperta della coscienza e dell’autoconsapevolezza. L’evoluzione non ha seguito un cammino solo deterministico e noi abbiamo cercato di negare il valore del gene egoista, alla ricerca dell’umanità, della pietà e della misericordia. Si può sopravvivere, si può vivere ma è necessario con-vivere in un atto di condivisione fraterna che ci porta a vedere nell’altro, una parte di noi stessi… A morte il gene egoista! … e aggrappati al bisogno creazionista di un Dio che vive in una dimensione metafisica, usciremo e riusciremo a ritrovarci anche in un momento storico di grossa crisi e difficoltà. L’amicizia va al di là del legame di sangue e si costruisce attraverso piccoli atti di fede che confluiscono nella carità e nella pietà.
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