In che senso Ablativo, messa da parte l'impressione di un dialogo a distanza con Zanzotto? "Ora vivo all'ablativo" è la circostanza, certo non esclusivamente "grammaticale", descritta nella litania dei casi; una circostanza in cui, come recita la quarta di copertina (se non d'autore, ispirata dall'autore), si "sintetizza un allontanamento o un distacco, un'uscita da un luogo o da uno stato". Più che di uscita si dovrebbe forse però parlare di sottrazione: sottrazione dall'io e dalle strette convenzioni mondane. Una sottrazione quasi buddista, che non significa per niente perdita, bensì liberazione di una nuova coscienza di sé e del proprio rapporto con il reale, in cui l'invisibile è accanto al visibile e i morti restano in comunione con i vivi. La voce di Testa, ormai al quinto libro, ha consolidato nel tempo i suoi temi, oltre che una lingua e una chiara inscrizione nella tradizione novecentesca (ma non solo). Nelle poesie che aprono la prima sezione, Nel sonno, la coscienza muove da una sorta di "foschia" in cui vaga disorientata dalla perdita (di preghiera in preghiera). Nel testo che segue, il cagnetto alla catena, la realtà lascia trapelare quasi impercettibili i segni di una presenza dei morti, della dimensione delle "ombre". L'incerta attesa di notizie da un altrove (non portava notizie di nessuno) si dissolve nel "luccichio del lago" di poteva essere Mantova: è il momento in cui, come in gloria ("gloriosamente"), la coscienza si spoglia della gabbia dell'io, emancipandosi dal circuito inestricabile del desiderio. Questo cammino si compie in una scrittura che allude a Petrarca e Caproni, a Montale, all'ultimo Sereni, di Autostrada della Cisa (Stella variabile). Scartando altri, più avanti nel libro: "A Edoardo Sanguineti". Ricapitolare in limine le proprie matrici e i propri temi serve a Testa per azzardare un balzo in avanti. L'asse della sua poesia continua a ruotare intorno alla quotidianità degli affetti, nella sfida a far durare la memoria preservando i riti e gli atti domestici a volte però rovesciati in ripetizione per reagire contro l'entropia che con la morte riduce tutto a materialità inerte, a oggetti che si sfarinano abbandonati dal senso. E tuttavia la poesia si spinge oltre questa precaria zona di confine; a più riprese scatta la certezza che, proprio grazie all'altrove, "brilla qualcosa / che dà luce al mondo" (invece di spolverare i mobili). O, come si legge in Dal molo di Alcantara, "Viene da pensare che il luogo presente conceda il suo senso a chi l'interroga solo sull'arco teso del movimento che l'unisce all'altrove". L'altrove di Ablativo è sempre meno altrove, se l'eternità "comincia a sfilacciarsi" (nei fondi, scuri e umidi), ma nello stesso tempo, all'altro polo, i morti rammendano "gli sbreghi sfilacciati della memoria" (l'accompagnavo per via Cianà dalla cognata). Ciò che sembrerebbe un incremento dell'entropia, in realtà non lo è. Lo si capisce in una sezione chiave come Grammatica vi compare anche la litania dei casi , in elma in turco vuol dire mela. L'anagramma elma/mela mostra come il qui e l'altrove in ultimo coincidano: "Iridescente prisma delle lettere / (
) / che se pure manca la sua cosa / (
) / ci tiene (
) / ancora legati insieme". Dietro il gioco illusorio della perdita e dell'assenza, questo mondo contiene l'altro: basta vederlo. A tessere insieme i due poli, le undici sezioni di Ablativo sono scandite dal viaggio (da sempre un tema che domina nella poesia di Testa) o meglio dallo scarto, ma è apparenza, che si genera fra Genova (Binario 20, Viaggio dell'ombra e Passaggio, in modo particolare) e i Balcani (Balcaniche), il Sud America (Breve escursione in Sudamerica), o ancora la penisola iberica, Barcellona (Molo di Alcantara), o una miriade di altri luoghi, spesso in Nord Europa, resi con dettaglio non inferiore alla topografia genovese: quella di Ablativo è una geografia di presenza, in cui lettore è invitato ad abitare i luoghi più che il testo. Il viaggiare di Testa è fisico e nello stesso metafisico, visionario. Come suggerisce un titolo di sezione di forte ambivalenza, Viaggio dell'ombra, nel viaggio si compie un continuo scambio tra naturale e incorporeo, tra vivi e morti. E d'altra parte è un viaggiare verso la rivelazione di un mondo nuovo. Nel diario di viaggio della sezione Balcaniche un singolare turista, sempre più alleggerito di sé e "asfodelico", recettivo all'altro, si spinge fino in Bulgaria. Tappa dopo tappa si lascia alle spalle la storia e l'ideologia, l'Occidente e i suoi disastri, riattraversa la fine dell'utopia industriale (con gran trepestìo di rami e ali) e i luoghi di una tragica guerra (di presunta, indimostrata saggezza), per approdare agli affreschi luminosi di una chiesa ortodossa (dall'esterno sembra un fienile) e quindi alla conquista della "luce umile e gloriosa" di Arbanassi (sul prato appena falciato). Pur nel sottotono programmatico di Testa, l'apparizione, "tra i tigli" e oltre le tombe, di Arbanassi ha qualcosa di trionfale, come la visione di una Gerusalemme celeste. Tutto questo non annulla di colpo le tensioni del libro, ma smuove un'intonazione diversa: è il segno di una nuova nascita (accennata più volte nella raccolta), di un orizzonte miracolosamente ricomposto, che stacca la voce di Ablativo da quella dei libri precedenti. Stefano Giovannuzzi
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