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Anno edizione: 2022
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Il padre si è trasferito in giovane età dagli Stati Uniti a Roma, e non ha mai pensato a comprare casa: il prezzo dell’affitto era sostenibile, non c’era bisogno di mettere in mezzo la banca. La figlia, anni dopo, si ritrova ad appartenere a una generazione per cui la casa, l’abitare, rappresentano un problema.
«Di fatto il reddito da lavoro è sostituito sempre di più dalla rendita, ovvero dal guadagno generato dalla proprietà immobiliare, ma anche dallo sfruttamento di risorse naturali e di contenuti culturali immateriali e simbolici. E la cultura della casa di proprietà, che ha radici nelle politiche abitative portate avanti negli ultimi decenni, ha plasmato non solo la società ma il senso comune. L’egemonia della logica della rendita, che fa sì che che una classe dirigente guidata da un ex banchiere riesca a presentare i propri interessi come interessi generali, blocca qualsiasi tentativo di dibattito, di discussione e di superamento dell’idea che la proprietà sia la migliore soluzione al disagio abitativo. Ma non è sempre stato così.»
Chi abita in affitto, la fascia di popolazione più povera, ha sempre meno scelta. In un mercato del lavoro mutato profondamente, un esercito di giovani, studenti e lavoratori precari è oggi intrappolato in una spirale di povertà. La casa rappresenta sempre di più un motivo di profondo malessere psicologico. È la casa stessa ad essere al centro di un conflitto insanabile: spazio della vita e della riproduzione sociale, la casa è la condizione per abitare il mondo. Ma è anche, sempre di più, una merce. I costi sociali di questa nuova crisi, che saranno pagati dalle generazioni future, saranno molto alti senza un’inversione di tendenza a partire da un bene fondamentale per la vita.
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