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Tra le bellissime fotografie a colori a metà del volume, ce n'è una che ritrae Arshan, migrante in fuga dall'Iran, con in mano una cartina stradale d'Europa: è la mappa che lo guida alla ricerca una nuova casa. Yaghmaian l'ha incontrato per la prima volta a Patrasso, e l'ha poi ritrovato a Parigi: è qui che l'autore ha realizzato lo scatto, dopo essersi fatto raccontare la fuga di Arshan dai trafficanti e dalla guardia costiera greca. È di questo che racconta il libro. Viaggi, fughe. Fughe che si trasformano in peregrinazioni infinite, da Istanbul a New York, passando per Sofia, Calais, Londra. Viaggi che non trovano destinazione, perché nessuno vuole ospitare questi moderni pellegrini. Behzad Yaghmaian non è uno scrittore vagabondo, non è un reporter, non è un profugo. È un insegnante universitario di economia del New Jersey, Stati Uniti, di origini iraniane. In un mondo in cui gli economisti vengono interpellati su qualunque argomento, potrebbe non stupire la sortita nel reportage umanitario. Fortunatamente non è così: si tratta di una vicenda umana, non economica. Yaghmaian è un uomo che ha deciso di intraprendere un viaggio lungo due anni, in compagnia (ora reale, ora ideale) di decine di uomini e donne, musulmani come lui, in fuga dalle loro terre, in cerca di pace. È una ricerca che pare eterna, che ha alle spalle una grande sofferenza e di fronte un'altrettanto vasta discriminazione. È un turbine di incontri, di addii e di vecchie conoscenze ritrovate, che attraversa metà globo terracqueo, raccontandolo per frontiere assolate, strade polverose, campi profughi, poliziotti corrotti, trafficanti di persone, violenze e speranze. Accompagnando Yaghmaian nel suo viaggio, conosceremo decine di uomini e donne. Ognuno con una storia unica da raccontare. Ognuno parte di un'unica storia. Tutti vittima della medesima, insensata ingiustizia.
Luca Borello
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