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È un volume singolare questo che, premio "Filmcritica Umberto Barbaro", vede il filosofo Jean-Luc Nancy confrontarsi con il cinema di Kiarostami. Costruito in fasi successive (il primo testo in ordine di tempo, dedicato a E la vita continua , era stato richiesto per un'opera collettiva sul centenario del cinema), è breve: alcune decine di pagine più un nutrito (e benissimo impaginato) inserto fotografico a cura di Térésa Faucon; vi si succedono inoltre forme diverse, come la conversazione vera e propria fra regista e autore, e i testi "veri e propri" di quest'ultimo (una trentina più una quindicina di pagine). In appendice, a beneficio del lettore italiano, un'ulteriore conversazione di Nancy con il direttore Edoardo Bruno e alcuni redattori di "Filmcritica".
Un insieme di spezzoni che germinano uno dall'altro, si riaggiustano e si completano, intorno all'idea tutta particolare della visualità che i film dell'iraniano suggeriscono al filosofo. Quest'ultimo parte da un assunto che può essere preso come paradigmatico, al di là di Kiarostami, per il cinema in generale o quanto meno per una maniera di concepire la visualità da far risalire, a nostro avviso, agli anni ottanta. Nancy sovrappone le voci (la sua e quella del suo interlocutore) nel dichiarare l'affermarsi di uno sguardo "che non è più esattamente uno sguardo sulla rappresentazione né uno sguardo rappresentativo"; uno sguardo che si vale in quasi tutti i film di Kiarostami di un'esibita apertura su una porzione di spazio, di una porta socchiusa o dei finestrini di un'auto.
Rifiutando opportunamente di considerare come centrale e determinante il discorso del "film nel film", l'autore percorre in particolare i film della trilogia "del terremoto" ( Dov'è la casa del mio amico? , E la vita continua , Sotto gli ulivi ), in quanto esempi coerenti in se stessi di una poetica in cui l'atto del guardare è traduzione del pensiero; dove il senso del movimento (in auto, ma anche a piedi, di corsa: Dov'è la casa... ) sta nel viaggiare tra senso della tradizione e della natura atavica da un lato, e riflessione ulteriore, elaborazione concettuale dall'altro: "L'evidenza del cinema - arriva a formulare Nancy - è quella dell'esistenza di uno sguardo attraverso il quale un mondo in movimento su se stesso (...) può ridarsi il proprio reale e la verità del suo enigma". O ancora, nelle pagine scritte per prime: "L'evidenza è ciò che si presenta alla giusta distanza: pensiamo alle riflessioni di Rivette, prima, e Daney, in seguito, sul famoso carrello avanti di Kapò .
Un libro denso, magmatico, che arriva a tesi di fondo non inusitate: l'importante è tuttavia la strada per la quale vi arriva, in un'ottica - quella dei filosofi che leggono il cinema - che, da Cabrera a Curi, non potendo prescindere da Deleuze, si sta rivelando affascinante e assai produttiva.
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