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Anno edizione: 2018
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Estasiato abbagliato dalla meraviglia di Solenoide, mi catapulto su questo primo atto di una lunga incredibile trilogia. Stesso mood, stesso spirito, stessa sostanza del non romanzo fiume Solenoide, uno di quei rari libri scritti con lacrime sudore e sangue, un lirismo, una poetica moderna, una musicalità delle parole che suonano nella testa come melodie incantatrici. Un'opera mistica, esoterica, cristiana e pagana, fortemente onirica e allucinatoria, inquietante e sublime, a tratti macabra e disturbante.. Superare le soglie della carne per intravedere l'essenza di tutte le cose, come sorta di autoiniziazione. Profondità di pensiero e immaginazione sfrenata, un labirinto di porte letterarie che a turno si dischiudono alludendo a mondi e dimensioni dell'essere, fuori e dentro di noi, porte che si aprono a grandiosi mondi letterari, agli universi di Borges o di Kafka, con rimandi a Poe e al gotico macabro d'autore. Un mondo in cui perdersi, cadere e rialzarsi privi di riferimenti spazio temporali, questo è il mondo di Mircea Cartarescu, prismatico, visionario....abbacinante. Questo è il vero weird, come il teatro di Carmelo Bene, gli altri sono figuranti fantasma da avanspettacolo, buono per la tv, l'arte nella sua pura accezione appartiene a ben altro.
Il libro che mi ha fatto conoscere Cartarescu. Meraviglioso primo volume di una trilogia che comprende anche "Abbacinante. Il corpo" e "Abbacinante. L'ala destra". Di opere così se ne trovano poche in giro e infatti Cartarescu è tra i più grandi scrittori viventi, uno di quelli da Nobel. Ho amato tanto questa trilogia e spero che con la recente uscita di "Solenoide", in tanti decidano di approfondire gli altri libri dell'autore.
Mircea Cărtărescu dovrebbe essere insignito del premio Nobel perché la sua scrittura, la sua cultura e quello che è l'esperienza attraverso la vita sono la sua eredità immensa. Questo libro è il primo volume di una trilogia dove apparenza e verità sono la stessa faccia della medaglia della sua tematica; il protagonista attraversa turbolenti avventure mentali, reali e finte, all'inizio non lo si capisce quello che vuole raccontare, ma se si ha la pazienza di andare avanti si verrà ripagati dalla sapienza come pura gioia della penna di Mircea. Credo che se esistono ancora oggi scrittori così la nostra terra è salva. Ve lo consiglio vivamente.
Recensioni
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Per il decennale della morte di David Foster Wallace si è assistito a un notevole proliferare di articoli, e conseguenti dibattiti social, non di rado caratterizzati dal fatto che la maggior parte di chi si esprime circa l’autore e il suo magistero lo conosce attraverso i suoi bellissimi saggi, i suoi eccellenti racconti o per lo spassoso reportage Una cosa divertente che non farò mai più, ma non ha letto Infinite jest, il romanzo-mondo che è fulcro e apice della sua opera, cosa che, specie in un paese in cui pure non si legge granché il suo diretto progenitore Pynchon (o tantomeno il “progenitore 2”: Gaddis) può causare rilevanti fraintendimeni: il parlarne come di un grande osservatore, di un uomo di straordinaria sensibilità o dell’alfiere dello stato d’animo dominante la nostra epoca. Tutte caratteristiche che senz’altro gli appartengono, ma che non sono che corollari alla sua capacità di scrittura: all’esattezza della sua prosa e alla complessità delle sue architetture narrative – e al fatto che avesse stabilito nel romanzo il dispositivo più efficace per l’analisi della realtà.
L’innamoramento per Wallace ha portato molti a non accorgersi di un coetaneo (classe 1959, laddove DFW è del ‘62) che mai gli fu da meno: quel William T. Vollmann autore, oltre a trattati sui temi più disparati – dalla violenza al riscaldamento globale, da Copernico all’Afghanistan –, dei Sette sogni, sette momenti chiave della storia d’America narrati in altrettanti poderosi romanzi. In Italia se ne erano visti due: La camicia di ghiaccio, oggi irreperibile, sull’arrivo dei vichinghi in Groenlandia, e Venga il tuo regno, sull’incontro tra gesuiti e irochesi in Canada. Minimum fax ne ha ripreso i diritti, e i Sette sogni torneranno: nell’attesa, il lettore italiano può tuffarsi nel “mondo” di Europe central, cattedrale narrativa le cui colonne sono conficcate nella Germania e nella Russia della Seconda Guerra.
Poiché di Vollmann non ci accorgevamo abbastanza, il primo altro romanzo-mondo a catturare la nostra attenzione dopo Infinite jest fu 2666 di Roberto Bolaño, di cui quasi parrebbe futile parlare, vista la sua posizione, poco insidiata, di miglior romanzo del secolo in corso, e che invece è essenziale ricordare per la sua natura: se Infinite jest riprendeva e portava a compimento la tradizione del grande romanzo massimalista statunitense, Bolaño, ibridandola con le lezioni di Borges e Cortázar, e con quella letteratura europea di cui era fine conoscitore, riesce, con 2666, nell’impresa di generare un romanzo davvero lanciato, per forma, struttura e suggestioni, nel secolo a venire.
E se è vero che la Romania è un paese sudamericano perdutosi in Europa, è facile giungere all’unico romanzo europeo in grado di competere coi succitati: il romeno Mircea C?rt?rescu offre, col trittico di Abbacinante, di cui è stato appena ristampato il primo volume, uno dei maggiori romanzi degli ultimi vent’anni, ma anche l’unico in grado di portare da noi quel livello d’ambizione – e lo fa sfondando i muri tra i generi, trovando nuovi approcci alla metafisica e attingendo alla lingua di discipline come genetica, cosmologia, fisica quantistica, ma sempre tenendo presente ciò che proprio Wallace insegnava: che la vera profondità si ottiene anzitutto attraverso la qualità della prosa.
Vanni Santoni
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