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Affiancare Lethem a Omero mi sembra veramente improprio e improponibile. Per parlare del libro: i primi 3 racconti abusano di luoghi comuni, a volte sono veramente banali e troppo pretenziosi; più interessante invece la seconda metà, quella saggistico-biografica. Molto meglio "Men and Cartoons" e "Memorie di un artista della delusione", quelli sì che valgono il prezzo del biglietto.
Lasciarsi trasportare. Si è questa, la prima sensazione che ho avuto leggendo questo libro. Avete mai sognato da bambini,di salire su di una mongolfiera e partire su in alto sempre di più…… Certo visto con gli occhi di oggi, da adulto , devo dire che sarebbe diverso, ma credo che potrebbe aiutare a vedere le cose in un altra prospettiva,e sicuramente da un'altra angolazione,non credete? Secondo me, è quello che cerca di fare questo giovane scrittore americano,trasportandoci nella prima parte di questi racconti brevi,in un futuro apocalittico in cui dovremo vivere, chiusi nelle nostre automobili vedendo delle cassette di realtà virtuale che ci faranno credere di essere comodamente seduti nel nostro appartamento a berci una birra….. Nella seconda parte del libro ci trasporta,in varie sequenze della sua gioventù ,attraverso alcune sue ossessioni come un famoso film western degli anni 50,o a fare l ‘autostop sotto il sole cocente del deserto del Nevada. Ma in tutte e due le situazioni,sia nell’immaginario futuro che nella sua giovinezza,cerca di farci salire sulla sua mongolfiera per portarci in alto, forse aiutandoci a fare una valutazione “evoluta”della nostra generazione,un po’ come John Coltrane con i suoi assoli di sax spaziali, o Jack Kerouac e suoi amici vagabondi beat zen fecero in modo esplosivo fare alla propria.
Il libro è bello ma la traduzione lascia a desiderare. La minimum fax farebbe meglio a curare di più le sue pubblicazioni.
Recensioni
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La prima metà dei racconti di questa breve raccolta sono di genere fantascientifico, e nel panorama della science fiction contemporanea Lethem non mi pare brillare per particolare originalità, senza tuttavia poter essere liquidato come l'ennesimo epigono della vulgata cyberpunk. Invece, il racconto più interessante del libro, intitolato In difesa di "Sentieri selvaggi". Scene da un'ossessione, che fa sì che Lethem meriti l'attenzione di chiunque si occupi di cultura americana, si trova nella seconda sezione, di carattere non fantascientifico. In questo ibrido tra short story e saggio, Lethem ragiona attorno al suo rapporto con uno dei film più importanti della storia del cinema statunitense, appunto Sentieri selvaggi di John Ford (1956). Lethem coglie a pieno la complessità del film, la sua intima contraddittorietà, e il suo legame fortissimo con l'immaginario americano; e in nome di tutto questo difende l'opera di Ford dalle semplicistiche accuse di "razzismo" mosse dai sostenitori del politically correct. Al contempo, a mano a mano che descrive le molteplici occasioni in cui ha visto il film, e i ragionamenti che a queste sono seguite, Lethem espone in maniera lucidissima le difficoltà del rapporto con il testo, l'impossibilità di padroneggiarlo pienamente, perché c'è sempre qualcosa che sfugge, qualcosa di "troppo ostinato per lasciarsi ingabbiare nelle mie teorie". Da ultimo, questo racconto non mancherà di affascinare i professori universitari, almeno quelli che patiscono la strisciante trasformazione che i membri della categoria stanno subendo nel nostro paese (ma non solo, evidentemente), da studiosi a burocrati. A proposito di un docente universitario, anch'egli ossessionato dal film di Ford, Lethem scrive: "Ormai ero abituato a sentir parlare tanti dottorandi, raggomitolati dentro le loro terrificanti carriere, di monte ore, di bandi di concorso, di tutto fuorché della passione originaria e ormai rattrappita che stava segretamente al centro del loro lavoro. Ora capivo che per il professore era lo stesso. O peggio ancora. Armate di laureandi sbadiglianti avevano ucciso quella parte di lui".
Giaime Alonge
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