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Roma con le sue magie e le sue contraddizioni diventa “la scusa” per una serie di riflessioni dell’autrice sulle recenti dinamiche sociali e sul senso della vita. Pagine sparse che stimolano e fanno pensare. Un po’ disordinato, ma da leggere.
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Con un titolo che è un verso di una poesia di Victor Cavallo (romano o, per meglio dire, della Garbatella), Stancanelli ha pubblicato nella collana "nichel" di minimum fax un libro dedicato a Roma, sua città d'elezione, dopo avere fatto i conti in Firenze da piccola (Laterza, 2006) con la sua città di imprinting etico e familiare. I due libri strettamente connessi (vi tornano temi, riflessioni e personaggi) insieme costituiscono una sorta di autobiografia individuale e di generazione. La mano di Stancanelli, in questo tipo di scrittura, è particolarmente felice e certi grovigli affrontati nei romanzi (Benzina, 1998 e Le attrici, 2001), come l'identità sessuale, l'autonomia femminile, il rapporto amatodioso con il teatro paiono qui trovare un più agile sviluppo.
Stancanelli è nata nel 1965, e il fatto cronologico diventa un fatto di generazione e di visione del mondo: è adolescente e poi giovane negli anni ottanta, quelli da bere. Della contestazione, ricorda il calpestio dei giovani in fuga per via Calzaiuoli, il fumo delle molotov, le cariche della polizia, mentre con le amichette si gusta un gelato. Lo spirito del tempo, quello evenemenziale, la ha solo e sempre sfiorata o lo ha solo e sempre sfiorato, vuoi per motivi biografici vuoi per naturale ritrosia. Ma il retaggio mentale e di costume del '68 è per lei un fatto amabilmente (e incontrovertibilmente) scontato. Non c'è da discuterne. L'individuo donna ha in pugno se stesso, come qualsiasi altro, o come qualsiasi altro ha i suoi tremori. L'empatia per personaggi come Absolute Bjork, la facinorosa star punk islandese, o come Elfriede Jelinek, la Nobel austriaca terribilis, la dice lunga sulla sua idea di donna e, dunque, di uomo e, dunque, di individuo. Stancanelli, laureata in lettere moderne, lascia Firenze città tracimante di haughty contempt ma provinciale e vittima consenziente di un turismo miasmatico per Roma e l'Accademia d'arte drammatica. Ma prima di abbandonare l'altezzosa e inibente città, Diquaddarno, occorre ricordare la bellissima ultima sezione di Firenze da piccola dedicata a Giorgio La Pira, a don Mazzi e all'Isolotto, cioè all'altra Firenze, a Diladdarno, a cronotopi anch'essi sfuggiti all'esperienza diretta dell'autrice, ma a lei, come biografa di città, trasversalmente pervenuti con la loro suggestione.
Ma adesso: A Roma! A Roma! La città, all'inizio, verrà vissuta da Stancanelli studentessa fuori sede come una sorta di "enorme centro commerciale dove acquistare opportunità", senza spessore, senza rizomi, senza un fuori. Solo più tardi, con ormai alle spalle i due romanzi citati, avrà per lei inizio l'avventura esistenziale destinata a confluire in A immaginare una vita ce ne vuole un'altra, la scoperta del corpaccione diffuso dell'urbe, con i suoi non luoghi, i suoi ipo-luoghi, i suoi iper-luoghi. Stancanelli aveva deciso di "dimettersi dalla vita" e di avere una stanza tutta per sé, consacrandosi unicamente alla scrittura d'immaginazione. Impossibile. Così, con la complicità della redazione romana di "Repubblica" e della rivista "Accattone" (2003-2004), nasce l'idea di "un modo di raccontare la cronaca [e, aggiungerei, la città] che non fosse il giornalismo", insomma, di scardinare i codici. E così iniziano le incursioni in vespetta Primavera della novella Alice (miope) oltre lo specchio. E fu bellissimo. Roma scopre le sue meraviglie, beh, non il Colosseo o la fontana di Trevi
Roma si scopre città "attuale", ovviamente con le sue permanenze e le sue stratificazioni. Stancanelli ce lo racconta e ce la racconta.
E così scopriamo il Tufello e la Garbatella di oggi, i quartieri residenziali di Axa e Casalpalocco per calciatori, mogli appetitose e pigre, & affini. Torniamo a Primavalle, con le tracce dei suoi roghi del 1973 e le sue scritte del tipo "Nesta come Versace: frocio morto", cioè l'eterna Roma di camerati e compagni, e dell'omofobia gridata. C'è la Cartonopoli di Colle Oppio, dove stranieri di tutto il mondo vivono in loft immaginifici fatti di materiali precari (per contrastare la nostalgia c'è una cornacchia impagliata, ma anche un leone di peluche, unica decorazione della stanza di Adam, che la nostra Alice riceve in dono). C'è l'incredibile Museo della Anime Purganti, con i suoi dieci cimeli a testimonianza dell'esistenza oltre la morte. C'è l'affascinante Museo Agostinelli a Dragona che accumula infinite raccolte di oggetti "inutili", come bastoni da passeggio, animali impagliati, Mein Kampf in edizione da taschino per soldati germanici al fronte, la culla della famiglia De Curtis (dove forse ha dormito Totò). C'è il sex shop Beautiful, con le sue pretese di raffinato erotismo e le sue realistic dolls in affitto (per maschi), nonché con le sue farfalle a batteria per suscitare orgasmi (femminili) durante le dure giornate di lavoro di donne manager. C'è l'ex entraîneuse che fa psicanalisi diurna a slombati manager in un'automobile-garçonnière a Tor di Quinto. Ci sono i ragazzi che di sera (after hours), in auto, fanno girotondo attorno all'obelisco del Pincio per conoscersi e, magari, dragare. C'è il folle palazzo di Corviale con i suoi 1202 appartamenti, perversa fantasia del più perverso Le Corbusier.
E tante altre cose, il Verano, il Portonaccio, villa Palombara, Ikea, McDonald, e tante vere presenze, da Cristina Campo, a Pasolini a Vespignani
a Montaigne e al marchese de Sade
a Medici contro la tortura. E, infine, l'outlet di Castel Romano, un non luogo emblema della nostra epoca, rassicurante, irredimibile, dove il tempo è immobile e non può accadere nulla di definitivo (la morte ne è stata espulsa): sito perfetto per i nati negli anni sessanta (dell'Occidente), la cui infelicità è metaforica (meglio così!) e che (per fortuna!) se ne fottono dell'identità (città, razze, nazioni): sono "quelli dell'interrail e dei cartoni animati giapponesi, dell'immigrazione alla Kureishi e di Giochi senza frontiere".
Ultimo messaggio dell'intrepida, e anche bella, Stancanelli: non c'è solidarietà senza godimento (reciproco), vedi l'Orchestra di Piazza Vittorio (Roma). Ok. Anche qui, scardiniamo i codici! Un libro, il suo, che è un compendio in miniatura della modernità (quella della cosiddetta fine della storia, ma che della storia conserva tracce interrate), un prontuario per orientarsi nel mall in cui siamo immersi, e discernere anche qualche way out. Mario Marchetti
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