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Pochi dubbi esistono sulla constatazione che la cultura di destra abbia una forte tradizione antiglobalista: anzi, probabilmente ciò che l'ha caratterizzata lungo tutte le sue vicende è stata proprio la sua opposizione ai processi di globalizzazione, che essa nel tempo ha interpretato come "omologazione", "americanizzazione", "mondialismo" ecc. Il volume di Fraquelli costituisce una panoramica dell'attuale dibattito a destra sul problema, spaziando dai settori del radicalismo di destra alla Nuova destra. Convergenze fra destra e sinistra nella critica alla globalizzazione? Nient'affatto. La destra, almeno originariamente, e non solo nelle sue componenti antisemite, ha fornito un'idea complottista della globalizzazione. Allo stato attuale, anche se il complottismo è superato nelle sue versioni più evidenti, a destra è corrente l'atteggiamento di privilegiare la critica agli organismi sovranazionali (Onu, Fao, Fmi ecc.), accusati di promuovere e pianificare i piani della globalizzazione. Su tutto, poi, l'antiamericanismo, che individua negli Stati Uniti "la punta di diamante di un progetto mondialista che ha per obiettivo finale l'omologazione planetaria". Certo, le ricette e le soluzioni correnti a destra sono differenti; le analisi di de Benoist non corrispondono a quelle dei settori radicali e populisti. E tuttavia è da condividere il giudizio di Fraquelli sul filo rosso di un atteggiamento "incapacitante" che percorre un po' tutte le voci della cultura di destra. L'autore ricorda il concetto evoliano per cui la destra non può che essere conservatrice, altrimenti non è destra. Appunto. La posizione della destra è stata quasi sempre contrassegnata dall'ansia di una conservazione incapacitante.
Francesco Germinario
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