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È raro imbattersi in un poeta di cui, ad apertura di libro, si avverta la necessità»: così Massimo Raffaeli (alias 26/11/05) recensendo questi testi di alta tensione morale e politica. Per «versi incisi in una scansione secca, prevalenza della sintassi sulla prosodia, vibrazioni che si danno per figure metonimiche e mai metaforiche» (ancora Raffaeli) è offerta una lucida meditazione su ferite errori orrori del nostro tempo; e la lucidità è venata di qualche speranza e nessuna resa: poiché in “A compimento” a scontrarsi sono il qui e l’altrove, e le parole, che sono politiche, lo sono «nel senso di una coincidenza fra passione della fede nell’invisibile e raziocinio del visibile» (come scrisse Franco Fortini introducendone una parte; cfr. nota nel libro). “Sei già stato/ammazzato. Io mi attardo./Nella crosta della storia una lama/di verde mi germoglia fra le dita”. Bene se ne accorge Enzo Siciliano (L’espresso n.49/50, 22/12/05): «Bel libro incisivo e antilirico. Scrive Luca Lenzini nella prefazione: “Dopo le carneficine del ‘secolo breve’ sembrò che un nuovo inizio potesse aprire una porta diversa. Invece non è stato così. Di guerra in guerra, di menzogna in menzogna, ogni giorno la storia è riscritta dai vincitori: i morti sono insultati e ai vinti è tolta la parola. Ma proprio per questo, nessuna resa o diserzione”. La ‘piccola porta’ di cui scrisse Brecht, la porta della speranza e della libertà reintegrata torna come immagine incentivante nei versi aspri di Alziati, dettati sulla linea dell’antinovecentismo […]. Non è facile ripescare l’accento della poesia civile in un mondo come il nostro, sempre percorso dai media schiacciasassi; ma Alziati lo scova nello spazio che si schiude fra immediato sentire e alcune ferme certezze della mente […]. La parola di Alziati ha una classica fermezza, una classica scansione. Incisa su pietra, la poesia è la forma più alta di resistenza, e ci viene incontro dove la memoria individuale e il comune vivere quotidiano si confrontano e si sommano». 13/01/2006
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