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Un uomo in fiamme
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Un uomo in fiamme - Marco Cubeddu - copertina
Un uomo in fiamme - Marco Cubeddu - 2
Un uomo in fiamme - Marco Cubeddu - 3
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uomo in fiamme

Descrizione


Un romanzo brillante e commovente sulla straordinaria vita quotidiana dei pompieri, eroi operai per cui un giorno senza rischio è un giorno non vissuto.

Al di là del bene e del male davanti al pericolo siamo quello che siamo.

Roberto Franzini sta scontando gli ultimi anni della sua giovinezza in bilico tra autoironia e autocommiserazione nell’umido cuore del Triangolo industriale di Busalla. Pompiere quasi quarantenne, perennemente ironico e dolente, passa le sue serate tra il Circolo Barcollo da Ponassi e il letto di qualche Boccadirosa dei dintorni. L’aspetto stropicciato e l’anima in pezzi dell’eroe riluttante schiavo di troppe debolezze che non sa né affrontare né ammettere, è un Bruce Willis in L’ultimo boyscout. Ma con più capelli. Cresciuto a Sampierdarena tra il cimitero della Castagna e la cittadella di container sotto la Lanterna del porto di Genova all’ombra di un fratello maggiore che ne era il perfetto erede, da bambino Roby era il piccolo di casa, introspettivo e ipersensibile all’affannata ricerca dell’approvazione del padre, leggendario caposquadra eroe del rogo della Iplom dal passato difficile. Ribelle. Contorto. Intransigente. Roberto Franzini è un uomo pieno di fantasmi da scacciare. Suo malgrado, tra un gatto da salvare e una sbronza, goliardie coi colleghi e complicate emergenze cittadine, nel piccolo distaccamento genovese la squadra del turno C si prende cura di lui: il perennemente quasi divorziato Max che lo porta al lavoro puntuale, l’esilarante Soletta che gli dà continue lezioni di libertà, il caposquadra Braga che gli copre le spalle a suon di mugugni. E poi Baldo, il Jack Russell da macerie che lo tiene (quanto può) lontano dalla bottiglia, regalo di Anja, la pompiera più in gamba del Nord Italia che ha un inspiegabile debole per quest’uomo sempre in prima fila nel salvare gli altri, ma tragicamente incapace di salvare se stesso. Nel pericolo siamo quello che siamo. E per affrontarlo Roberto Franzini dovrà fare i conti con la Balena Bianca del suo passato, ritrovare se stesso nel confronto con la lezione più importante della sua famiglia di pompieri: c’è chi esce da Alamo coi piedi davanti. E chi si traveste da messicano. Davanti al fragoroso silenzio di un gigantesco terremoto, Roberto scoprirà la differenza fra vivere e sopravvivere liberandosi di maschere e paure affrontando con coraggio le grandi tragedie che la vita ci impone.

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Dettagli

2019
25 settembre 2019
324 p., Rilegato
9788809809765

Valutazioni e recensioni

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Renato Mite
Recensioni: 4/5

Devo innanzitutto sottolineare che l'autore scrive in modo crudo e rappresenta il clima cameratesco con un linguaggio molto colorito, non credo avrebbe potuto fare altrimenti. Per mia avversione personale ho sopportato meno i lunghi incisi, soprattutto fra parentesi, che sono frequenti all'inizio del libro. Ritengo che scrivere in maniera cruda sia una peculiarità di Cubeddu per rappresentare la vita senza fronzoli. Chi riesce ad andare oltre le parole, scoprirà una riflessione profonda sulla sofferenza che attanaglia tutti, chi più chi meno, e affiora pian piano. Mi è piaciuto molto come l'autore ha intrecciato presente e passato del protagonista con paragrafi separati e ben distinti che si amalgamano in un tutt'uno, come ingredienti ben dosati. Cubeddu ci fa conoscere le cause della sofferenza di Roberto per gradi e così la sofferenza diventa tangibile, fino a capire perché lui è l'uomo in fiamme del titolo. Parlo secondo la mia modesta interpretazione. Roberto è come un uomo che brucia. Chi gli sta intorno non ha i mezzi per spegnere le fiamme che lo avvolgono, si avvicina ma è respinto dal calore. Lui potrebbe rotolarsi per terra, invece sta fermo, anzi s'annaffia con l'alcol perché quelle fiamme sono l'unica cosa che lo fa sentire ancora vivo sebbene voglia farla finita. Tutti i personaggi sono delineati con maestria e apportano un senso profondo alla storia, con punte di amarezza che non si possono ignorare. Roberto seguirà le orme del padre eroe e darà alla sua vita una svolta in linea con l'uomo che è, non posso svelare altro. Per capire, dovete leggerlo.

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Voce della critica

Nell’entroterra di Genova c’è un comando di Vigili del fuoco molto particolare, formato da uomini scartati, delusi e amareggiati dalla vita, eroi silenziosi che hanno perso battaglie private e il cui scopo resta quello di salvare la vita degli altri per ritrovare un senso, o forse solo per far tacere i sensi di colpa. È qui che si svolge il romanzo di Marco Cubeddu, Un uomo in fiamme (324 pagine, 17 euro), pubblicato dalla casa editrice Giunti. Il protagonista è Roberto Franzini, pompiere: è lui l’uomo che brucia: di disperazione, di paura, di fragilità, che maschera da amara ironia per sopravvivere a una vita che lo ha messo più volte di fronte alla perdita, senza tuttavia privarlo della voglia di aiutare gli altri. Un personaggio irrisolto, complesso, emarginato. Un pompiere di cui scoprire un’interiorità impaurita e fragilissima.

Pompiere per tradizione familiare, forse per vocazione, Roberto nel tempo libero gioca a scacchi sullo smartphone e mantiene una relazione complicata con la bottiglia: sono i suoi segreti per tenere a bada i fantasmi che popolano il suo passato, e che scopriamo adagio adagio, nei capitoli di flashback che intervallano la narrazione al presente. È così che ricostruiamo la storia del padre, eroico pompiere ricordato dalle cronache cittadine per le sue azioni da prima pagina; del fratello, promessa dei vigili del fuoco, da sempre suo protettore e onore della famiglia, e della moglie, stretta tra l’amore e un ego risolto con dedizione sorda al lavoro.

Attraversando queste storie, il Roberto ragazzino inadeguato e impaurito diventerà un uomo che brucia di vendetta contro la vita stessa, un pompiere, eroe per definizione, incapace di scendere dentro se stesso e di salvarsi dai suoi mostri, che lo spaventano. Non è vero per tutti i pompieri che non hanno paura: Roberto lo sa bene, ma ha imparato ad affrontare il rischio a testa alta perché solo così può sfogare la propria amarezza per la vita. Il pompiere, figura eroica, diventa per lui lo schermo che riflette un uomo chiuso ormai alla vita, affogato nel sarcasmo, incapace di ascoltarsi, e tanto meno di ascoltare gli altri, contro cui finisce per schiantarsi.

Un uomo solo, perso però tra le sue fiamme, schemi mentali protettivi solidi come muri di cinta e modelli che lo tengono in piedi nella tuta da pompiere. Roberto fa del sarcasmo e dell’ironia amara la sua arma di difesa dalle ferite che il mondo gli infligge, una soluzione che alterna alle azioni sul campo, dove si distingue per metodi empatici ma poco inclini al rispetto del regolamento e delle norme di sicurezza. Il suo coraggio è tutto lì, nel prodigarsi per risolvere i problemi degli emarginati e dei reietti, l’unico modo per «restare federe all’idea di se stesso». Ma Roberto non è così solido, e nemmeno così eroico: è lui l’uomo da salvare, sprofondato nella sua tragedia.

Dolente, arreso al dolore, rassegnato all’amarezza. Giunti al termine delle narrazioni che intrecciano la vita passata del protagonista, ci rendiamo conto del peso del suo dolore, pronti a giustificarlo, ma solo fino a un certo punto. Roberto è diventato bravissimo nel tenersi fuori dalle relazioni e dall’empatia che regola il mondo, ma non ha fatto i conti con la sua collega Anja, una ragazza dalla storia piena di cicatrici che, tuttavia, ha reagito alla vita con grinta e che gli tende la mano per portarlo fuori dal pantano di autocommiserazione e autocompiacimento del suo eroismo riluttante. Il pompiere Roberto Franzini è restio al cambiamento, «rabbiosamente determinato a dimostrare, con lo spettacolo delle macerie della sua vita, che un giorno senza rischio è un giorno non vissuto», finisce per non accorgersi degli affetti e delle possibilità nuove che la vita gli va offrendo.

Non chiamateli Vigili del fuoco: loro sono pompieri. Anche se il loro distaccamento è uno di quelli un po’ di second’ordine, dove a volte si lavora poco, e nel tempo vuoto si cura l’orto. Siamo a Genova, e non potremmo essere altrove, a Busalla, località dell’entroterra: «il più umido crocevia della terra di mezzo del triangolo industriale», dove i nostri possono restare «immuni allo spazio tempo contemporaneo». Sotto il cielo fosco di Busalla passano in rassegna i nodi dolenti di tutti i personaggi della squadra, scarti arrivati dal comando centrale o nuovi colleghi di passaggio, e si alternano vivide immagini che riportano alla Genova dei telegiornali, quella messa in ginocchio dalle alluvioni, quella di pompieri “mugugnoni” e tuttavia eroici, quella delle raffinerie che costellano il paesaggio periferico con tutti i loro pericoli e la loro bruttezza.

Ed è proprio qui, tra dialettismi, intercalari e tragiche storie che evocano i disastri delle industrie petrolchimiche e le agitazioni sindacali dei “camalli” del porto, che nel romanzo di Cubeddu si mostra ai lettori il volto accogliente di Genova, l’abbraccio ai suoi abitanti, anche e soprattutto quelli più emarginati, con il loro bagaglio pesante di storie. In questo grido di salvezza ci sono anche loro, i vigili del fuoco, gli eroi di tutti e di sempre, per ricordare sempre che quando «Genova chiama, i suoi pompieri rispondono».

Tra le passioni che guidano Roberto c’è la storia di Moby Dick, la balena bianca che porta tatuata addosso, il cui libro è per lui fonte di ispirazione fin da quando era ragazzino. Ed è proprio un analogo inseguimento quello che guida la sua vita più volte spezzata: lui, come il capitano Achab e come chiunque, è al perenne inseguimento di un mostro, che teme e che lo tiene in scacco. Sciogliere i nodi che legano Roberto al passato, alle sue balene bianche, è l’orizzonte di una storia che, partendo da Busalla e dalle azioni di tutti i giorni del comando, come salvare gatti o fare scherzi ai clienti del bar di paese, si ritroveranno nel buio più profondo di un terremoto.

Sullo sfondo la cronaca reale delle scosse che hanno sbriciolato il centro Italia, la perdita delle case, delle vite e degli universi delle persone sfollate. Chiamato sul posto per l’emergenza con i colleghi, Roberto si ritroverà a scavare forsennatamente per cercare di salvare vite umane, un rovistare tra le macerie che è metaforicamente un cercare di venire a capo del proprio disastro interiore, confrontandosi con il dolore stesso di cui è impastata la sua vita e trovando, proprio nel buio più nero, gli appigli su cui, con fatica ma con determinazione, edificare le fondamenta di un nuovo atteggiamento con il mondo e con gli altri, finalmente pacificato.

Recensione di Alessandra Chiappori

 

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Conosci l'autore

Marco Cubeddu

1987, Genova

Marco Cubeddu è nato a Genova. Dopo il diploma ha frequentato la Scuola Holden a Torino, mantenendosi facendo il pompiere. Sotto vari pseudonimi pubblica regolarmente racconti su 'Nuovi Argomenti'. Studia fotografia e arte contemporanea. C.U.B.A.M.S.C. è il suo primo romanzo (Mondadori, 2013).

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