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L'ho trovato un romanzo bellissimo. Giovanile e al tempo stesso maturo, com'erano maturi i giovani di un tempo. Intriso di platonismo e sostanzialmente indifferente al suo tempo, consapevolmente inattuale. Giovanile perché i recessi dell'anima, che vi sono indagati, non sono mai morbosi, ma sempre rivelatori: sublimi.
"Nell'amore, dopo essersi dati, bisogna 'riprendersi'". Paradosso? Saverio si diceva che non è in tutto tale. In ultima analisi, ciò si accorda con la natura profonda dell'amore il quale, nel suo più alto manifestarsi, ha qualcosa di mistico e come il mistico rapimento richiede che i suoi slanci siano seguiti da momenti di raccoglimento, quasi per il necessario ristabilirsi di un equilibrio. Mai seguire un uomo quando si ritira nel suo 'retrobottega' (direbbe Mantaigne), tantomeno attenderlo sulla soglia: il famoso effetto elastico di avvicinamento e allontanamento, sistole e diastole per mantenere l'armonia nella relazione amorosa. Quello che combina poi, nei suoi momenti di raccoglimento,meglio non indagare. Scrittura superlativa.
"Uomini e amori" non mi pare uno dei suoi piu' letti. Fu il primo ad essere pubblicato e, si legge in fondo, non mancarono riscritture, cambi di nomi, alcune cose vengono spiegate da note adelphi. Attirata dall'ambientazione pre secondo conflitto in una Milano dal fare asburgico in cui ci si dava del Voi tra affini e conoscenti, trovavo pero' un poco difficile adattarmi al gusto manzoniano e carico, alle convesse riflessioni e considerazioni sulla vita ed il Dovere. La storia tratta di due amici (mah...) e delle loro vicende amorose e non, la buona borghesia che guarda e giudica, qualche dramma e delle malattie, la guerra. Notevoli i termini forbiti inventati o presunti tali, ancora un libro a prova del suo stile emulatico e del potente versatismo.
Recensioni
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recensione di Bo, R., L'Indice 1998, n. 9
È questo un volume che ci consente di riflettere sul caso di uno scrittore (definito da un illustre critico italiano "biograficamente patetico", per via delle sue disgraziate vicissitudini editoriali) che dalla polvere dell'anonimato è asceso, in un arco di tempo tutto sommato relativamente breve - poco più di vent'anni -, alla gloria degli altari, tanto da vedere pubblicate (postume, si capisce), non solo le sue prove maggiori, da "Roma senza papa" (Bompiani, 1981) a "La felicità non è un lusso" (Adelphi, 1994), ultima a vedere la luce, ma anche le sue pagine giovanili, in cui ancora rodava e costruiva quello che sarebbe divenuto poi il suo linguaggio più autentico e degno di nota.
"Uomini e amori" (composto e rivisitato tra il 1943 e il 1948) è un lungo e spesso faticoso romanzo orchestrato intorno alle vicende spirituali, professionali ed erotiche di Saverio Maggio, medico integerrimo, e Vito Cambria, artista "multanime" e di belle speranze. I due personaggi, su cui incombe la tragedia della seconda guerra mondiale, dovrebbero rappresentare, nelle intenzioni dell'autore, il "recto" e il "verso" di una stessa pagina di umanità: uno tutto preso dalla realizzazione morale di se stesso e dalla tesaurizzazione continua delle proprie esperienze, incatenato a un ideale di coerenza e trasparenza reso inattaccabile da un'assidua frequentazione del pensiero dei mistici e degli asceti di tutti i tempi; l'altro, felicemente dotato da madre natura di talento artistico, un "grande dilettante "destinato a sprecare più che a realizzare il suo dono, incapace di apprendere profondamente alcunché dagli incontri e dagli eventi che lo travolgono, se non quando è troppo tardi per poter affermare di aver vissuto pienamente e consapevolmente i propri giorni.
In realtà, ancorché esser radicalmente dissimili, i due finiscono con l'assomigliarsi in modo singolare: entrambi presi unicamente da se stessi, dalla tentazione di fare delle proprie vite una sorta di monumento - consacrato alla coscienza piuttosto che all'incoscienza dell'esistere -, falliscono miseramente la realizzazione dei loro obiettivi, a partire da quello erotico-sentimentale: sia il superegoico dottor Maggio, sposato con la bella e sensibile Nene che, prosciugata dalla totale mancanza di passione del marito, finisce per legarsi a un altro, sia Cambria, misogamo e donnaiolo, e tuttavia innamorato "malgré" "lui" della mansueta Lucia, la quale finirà per sparire dalla sua esistenza dopo aver subito l'ennesimo tradimento. La solitudine è quello che resterà loro come compagna, complice anche la guerra che li esilia in un'oscura postazione militare calabrese, luogo in cui Vito troverà la morte, prosciolto infine dalla propria felice inettitudine.
Un romanzo dunque tutto giocato sul dualismo: l'amore e la morte, l'Es e il Super-Io, l'Arte e la Vita, persino il Nord e il Sud (la Milano dei primi dieci capitoli si contrappone alla non meglio definita Calabria degli ultimi quattro: e, sia detto per inciso, una delle cose più pregevoli del testo è proprio nella resa impressionistica e non banale dei paesaggi e degli spazi urbani), e così si potrebbe continuare per un bel pezzo, salvo poi notare che in questo schema rigidamente costruito tanti fili scappano, molti personaggi non convincono (tra i primi Marina Danzi, musa inquieta di Cambria), alcune situazioni sono patetiche in modo stridente, mentre risultano troppo esibiti il "background" culturale e autobiografico di Morselli nonché le sue riflessioni metanarrative ("Noi non abbiamo che il dovere di narrare, o più esattamente, di riferire; il nostro racconto, oltre che veridico, è pragmatico: presenta fatti, e non giudizi; che sono il succo dei fatti strizzati al torchio dei nostri prediletti principi"). Il quale Morselli, peraltro, doveva essere ben consapevole dei limiti di "Uomini e amori", se nel 1957 in un passo del suo "Diario "(Adelphi, 1988) lo definisce "infelice romanzo": è quanto ricorda Valentina Fortichiari nel saggio-postfazione che chiude il volume, non senza aggiungere però - "excusatio non petita" - che "questo Morselli consapevolmente minore ci offre un'occasione irripetibile per penetrare nella sua officina e ci dà la misura del suo stesso polso, la qualità del suo giudizio critico e autocritico".
Si diceva della peculiarità del destino di alcuni scrittori.In soli venticinque anni il sistema culturale ha saputo trasformare il suicida esasperato dai dinieghi degli editori in un autore "cult": prova ne sia proprio la raffinata pseudo edizione critica (non sfugga l'accurato lavoro di Paolo Fazio sui testimoni superstiti e sull'"iter" elaborativo del testo) di un romanzo che senza esitazioni viene descritto dagli stessi curatori come debole e intermittente; nemmeno a Svevo, un altro celebre incompreso, è riuscito di fare altrettanto. Chissà Morselli, che lo stesso critico citato in apertura elogiava come voce radicalmente alternativa "rispetto al conformismo letterario che tanto aduggia la seconda metà del Novecento", cosa penserebbe di certe operazioni editoriali, del conformismo e del senso di colpa che oscurano gli sgoccioli del nostro secolo.
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