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Alcuni racconti avrei voluto non finissero mai, altri mi hanno un po' stancato. Il dato di fatto è che, come mio primo libro di questa autrice, ne traggo un'esperienza più positiva che negativa. Vorrei trovare un romanzo vero e proprio, se mai ne ha scritti.
A me piace molto Alice Munro e questa finora per me è la sua raccolta migliore.
I personaggi principali di questi racconti della Munro sono tutti talmente atipici da suggerire al lettore che gli esseri umani sono raggruppabili per categorie solo se li si osserva superficialmente e da lontano, e che anzi a nostro modo noi tutti siamo ben poco assimilabili a ciò che comunemente si intende per «normalità». Tocca così ai personaggi secondari, ovviamente effigiati con maggiore approssimazione, lʼincarico di farci pensare anche alla possibilità opposta, e cioè che la maggior parte dellʼumanità sia immersa nella banalità della ripetizione. Finora di questa gigantessa della letteratura avevo letto solo opere della prima parte della sua produzione («Danza delle ombre felici», «Chi ti credi di essere?», «Le lune di Giove», «Amica della mia giovinezza»), che onestamente mi erano piaciute di più. In «Troppa felicità» mi sembra di vedere unʼevoluzione che, a dire il vero, non mi si confà: né per lʼaccentuazione del pessimismo, né per lo stile, che è sempre magistrale, ma più secco e ruvido e qua e là indulge ad un sovrabbondante descrittivismo, come nel racconto «Legna». Ma la lettura del libro rimane comunque più che consigliata, anche perché esso contiene due testi che, a mio parere, valgono da soli lʼacquisto: «Racconti», nel quale il concetto quasi pirandelliano che le persone contano solo nella forma in cui gli altri le percepiscono viene presentato attraverso unʼoriginale ed interessante procedimento metanarrativo; e «Bambinate», nel quale la crudeltà gratuita di due bambine nei confronti di una loro coetanea disabile ci costringe a riflettere sui reali motivi per i quali vorremmo negare il diritto di esistere a tutto ciò che non corrisponde al mondo dei nostri desideri e che non siamo in grado di accettare.
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