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“Che vorrei essere diversa da come sono è la prima cosa che devi sapere di me. E non so nemmeno come vorrei essere davvero. Se solo tu fossi qui a raccontarmi come sarò”.
Inizia così la prima lettera che Caterina ragazza scrive a se stessa adulta. Lettere che vengono custodite dentro una scatola per essere ritrovate molti anni dopo e che troveranno risposta.
“Conserverò questi fogli nella vecchia scatola di latta della bottiglia di whisky che regalarono al nonno”.
La scrittura, per la protagonista, è la sua “rete da pesca. Lancio e catturo, lancio e catturo. Immagini soprattutto”. E lo è anche per l’autrice, al suo esordio narrativo. Chiara Pellegrini dimostra grande abilità nell’uso delle parole, nella costruzione delle frasi, nel maneggiare le figure retoriche che costruiscono questa storia a due voci che, in realtà, escono da una sola mente, da un solo cuore.
Un lungo flusso di pensieri, tra un passato vissuto nell’attimo e un presente che sa e prova a spiegare. Le due Caterina, la grande e la giovane, parlano entrambe a un altro da sé. Provate a ripensare al vostro “voi” del passato: riuscireste a vedervi come voi stessi o, piuttosto, come se foste davvero un’altra persona, conosciuta, amica ma “altra”? Io ci ho pensato e non ho ancora trovato risposta. Forse, quella risposta, non esiste.
Chiara Pellegrini ci guida in un viaggio nell’universo intimo, che transita in luoghi reali e va a passeggio tra alcuni classici della letteratura. Un viaggio malinconico, nostalgico e poetico dentro l’animo umano alla ricerca di risposte tardive e di un’evidenza ineluttabile.
“Talvolta ho l’impressione che la felicità sia come quelle comete, che sfiorano la Terra una volta ogni cento, duecento, mille anni, e poi proseguono la loro corsa scintillante, bruciando col loro fuoco bianco chissà quanta parte di questo profondo mantello oscuro che chiamiamo universo”.
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