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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2011
Anno edizione: 1996
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Un libro corposo … 500 pagine, e intenso. Ho trovato la scrittura meravigliosa, l’affresco storico molto interessante; ma più di tutto il ritratto di tanti personaggi, accomunati dai vizi, dai comportamenti folli, dalle giravolte affettive e politiche, figli del loro tempo certamente, inutilmente arroccati in un contesto che sparisce sotto i loro occhi. Denso di ironia, di disgusto per tutti loro, di poca pietà solo per i perdenti, accusati però di non aver avuto il coraggio di reagire, di staccarsi da quel mondo, da quei rituali. Nel giudizio sociale sul ruolo del potere, dominante sempre e comunque sul “popolino”, mi sembra che si possa avvertire una estrema attualità. Ancora oggi i meccanismi di funzionamento del potere sono i medesimi, e continuano a funzionare, forse perché siamo rimasti sudditi, non ancora cittadini.
Un libro corposo … 500 pagine, e intenso. Ho trovato la scrittura meravigliosa, l’affresco storico molto interessante; ma più di tutto il ritratto di tanti personaggi, accomunati dai vizi, dai comportamenti folli, dalle giravolte affettive e politiche, figli del loro tempo certamente, inutilmente arroccati in un contesto che sparisce sotto i loro occhi. Denso di ironia, di disgusto per tutti loro, di poca pietà solo per i perdenti, accusati però di non aver avuto il coraggio di reagire, di staccarsi da quel mondo, da quei rituali. Nel giudizio sociale sul ruolo del potere, dominante sempre e comunque sul “popolino”, mi sembra che si possa avvertire una estrema attualità. Ancora oggi i meccanismi di funzionamento del potere sono i medesimi, e continuano a funzionare, forse perché siamo rimasti sudditi, non ancora cittadini.
Ci sono libri che non donano luce, la cui cupa narrazione è pregna di negrezza e livore: “i Viceré” di de Roberto rientra tra questi. Chi cerca bellezza, gioia e speranza, chi agogna qualcosa di edificante e ricco di buoni sentimenti è meglio che non si cimenti nella sua lettura. Per comprendere un’opera letteraria bisogna cercare di comprendere le idee dell’autore, il suo retroterra culturale ed il clima politico-sociale in cui è stata scritta. Questo libro è stato pubblicato nel 1894, un anno prima c’era stata la liquidazione della Banca Romana e la nascita della Banca d’Italia; erano scoppiate le manifestazioni dei Fasci Siciliani dei lavoratori, Giolitti si era dimesso e Crispi proclamava lo stato d’assedio mandando l’esercito in Sicilia a sedare i moti. De Roberto (1861-1927) viene spesso definito un “borghese moderato”, simpatizzante dei ceti conservatori, in realtà io penso che sia stato un vero liberale. Il fatto è che (solo) in Italia i liberali vengono considerati dei conservatori, in realtà il liberalismo è una faccia della medaglia rivoluzionaria (l’altra è il socialismo) e pertanto personalmente considero de Roberto un vero e proprio rivoluzionario. Lo si capisce dal suo feroce e costante anticlericalismo, dal suo disprezzo verso l’aristocrazia siciliana e tutto il mondo del vecchio regime borbonico. Mentre ne “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa trapela una sottile nostalgia per quel mondo, qui abbiamo un vero e proprio disgusto per esso. De Roberto, vissuto nei primissimi anni post-unitari, profondamente intriso di ideali liberali e anticlericali, è un rivoluzionario disilluso e pieno di risentimento per il tradimento degli ideali risorgimentali: loschi arrivisti, personaggi riciclati, politici dediti al clientelismo e nobili voltagabbana hanno sepolto, a suo parere, ogni buona intenzione sotto i macigni dell’opportunismo, della corruzione, della brama di potere e ricchezza. Un libro molto attuale che aiuta a capire molto dell’Italia di oggi.
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