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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
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Finalista del Premio Lattes Grinzane 2019.
Roberto Alajmo ha fatto romanzo della sua vita, l’ha condivisa con noi nell’arte del racconto. Lo scrittore fin dall’inizio ci dice «Statemi a sentire». E non c’è altro che possiamo fare.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ingredienti: un evento tragico nell’estate della maturità dell’autore, una madre sempre più smarrita nel tunnel degli psicofarmaci e della depressione, un figlio che ripercorre e riannoda vicende familiari ad oltre 20 anni di distanza, un’indagine attraverso foto, testimonianze, ricordi e quadri di una vita spezzata. Consigliato: a chi conosce il valore delle gioie irrecuperabili, a chi si scava una buca da cui poi non riesce a uscire.
Alajmo dischiude una vicenda molto personale e dolorosa della giovinezza passata: l’estate del 1978 segna per lui il passaggio verso una maturità che è data non solo dagli esami a scuola ma anche dalla consapevolezza che qualcosa ha raggiunto uno stadio definitivo. Da quel momento il rapporto con la madre Elena, con il padre Vittorio, il fratello e gli altri parenti, acquista una dimensione nuova: Roberto sente su di sé una maggiore responsabilità, avverte un diverso modo di svolgersi dei rapporti famigliari, forse perché sente di essere più uomo. Nel libro ci si diverte e ci si commuove, e si ritrovano quegli stessi riti – si direbbe: quel lessico famigliare – che anche noi talvolta compiamo, credendo nella loro unicità e invece più comuni di quanto si creda. Una bella lettura.
«Escludendo le evenienze estreme, nella maggior parte dei casi la felicità è una memoria trascorsa. Una cicatrice, anzi.» Un’immersione dolce e lieve tra le pagine di un libro. A volte è possibile anche se uno dei temi forti è la perdita, ma chi scrive deve essere molto bravo. Roberto Alajmo, di cui leggo qualcosa per la prima volta, riesce ad aprirci la sua storia privata e ad accompagnarci in case e vie, in stagioni luminose e cupe, tra fotografie e quadri personali e unici. Sono rimasta affascinata dall’abilità non ordinaria di saper raccontare una storia famigliare complessa facendo leva solo sulle corde dell’autenticità e della purezza dei rapporti affettivi, mettendo in luce momenti felici e ombre emotive con intimità e calore. Un vortice commovente scandito da pagine piene di aneddoti, ironia, calore e familiarità tipici dei ricordi più affettuosi. Consigliato per ore belle!
Recensioni
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Alajmo, una vita di domande e il lungo addio alla madre
Il tema della madre in letteratura è vasto e tempestoso. Senza affondare la memoria dall’antichità al diciannovesimo secolo, gettando lo sguardo anche solo appena a qualche classico moderno, tra conflitti laceranti e amori struggenti, tra deliri e dolori, c’è di che restare estasiati, smarriti, confusi, segnati e c’è più di qualche lettura imprescindibile; un breve catalogo? Lettere a mia madre di Simenon (Adelphi), Infelicità senza desideri di Handke (Garzanti), Autobiografia di mia madre di Kincaid (Adelphi), Un altare per la madre di Camon (Garzanti), Cuore di mamma di Rosa Matteucci (Adelphi), Mia madre è un fiume di Donatella Di Pietrantonio (Elliot) e L’invenzione della madre di Marco Peano (Minimum Fax).
Chissà che Roberto Alajmo, nei quarant’anni in cui ha fatto macerare dentro di sé le sue nuove pagine, non abbia più o meno inconsapevolmente dato un’occhiata a certa bibliografia, a cui si possono ascrivere anche i recentissimi Tra loro di Richard Ford (Feltrinelli) e Leggenda privata (Einaudi) di Michele Mari, che però si nutrono non solo delle madri, ma anche dei padri. O, semplicemente, il giornalista e scrittore palermitano si sia lasciato guidare solo da riflessioni intime e da ricordi propri, da una memoria rinvenuta e in parte reinventata, da domande lunghe una vita, da un vuoto da riempire.
Il suo romanzo più noto è, probabilmente, Cuore di madre, con cui è arrivato in finale al premio Strega ed è finito nella rosa del selezione Campiello, sfiorando in entrambi i casi la vittoria finale. Stavolta, col suo libro più recente, Alajmo va al cuore di sua madre. Non ha resistito nemmeno lui all’autofiction che va per la maggiore e ha scritto L’estate del ‘78 (173 pagine, 15 euro), memoir pubblicato nella collana Il Contesto – che accoglie scrittori notevoli come Couto, Usòn, Zambra, Lerner, Stassi, Heti e Yanagihara – della casa editrice Sellerio.
Esita, cincischia, Alajmo, il lungo commiato da sua madre che è questo libro sembra non arrivare mai, s’interrompe spesso, riprende, s’inceppa ancora: in mezzo c’è altro, la morte del padre Vittorio, il rapporto col figlio Arturo (fra Springsteen e l’Inter), remote memorie familiari che hanno a che fare con la colonizzazione dell’Etiopia ai tempi del fascismo, riflessioni sulla terza età e sulle gioie perdute e irrecuperabili, c’è spazio perfino per un mini repertorio di ‘nciurie di Bisacquino, prima di arrivare al dunque, cioè a un’indagine indiziaria sull’esaurirsi di un amore, quello tra i due genitori, e soprattutto sulla fine della madre, Elena («Da giovane somigliava un po’, e si sforzava di assomigliare, a una Audrey Hepburn più formosa»).
La voce narrante del figlio, sulla pagina, chiama sempre i genitori «Vittorio ed Elena», «per parlarne – spiega – col maggiore distacco che si deve ai protagonisti di un’opera d’artificio. Sono i miei personaggi, non posso e non voglio avere indulgenza». L’addio alla madre, quasi senza parole, si consuma vicino a una panchina, a Mondello, in quelli che per il poco più che maggiorenne Alajmo erano i giorni di vigilia dell’esame orale per la maturità. Ne L’estate del ‘78 affiorano ricordi e s’intrecciano ricerche sulla madre: saltano fuori polsi fasciati, barbiturici e ricoveri, probabilmente trattamenti con elettroschock, e un finale implacabile, «l’ultima vanità, di pavesiana memoria». Le tessere tornano a posto, tutto è compiuto. Per fare i conti con se stesso, Alajmo si scava a fondo, scrive il suo libro più intimo, di gran lunga il più dolente e bello. Il distacco del narratore è solo forma, non sostanza.
Recensione di Salvatore Lo Iacono
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